Il risarcimento danni infortunio sul lavoro trae origine da un incidente avvenuto “per causa violenta in occasione del lavoro” che determina la morte, l’inabilità permanente, assoluta o temporanea per più di tre giorni del lavoratore.
In questa casistica rientra sia l’infortunio sul lavoro in itinere, ovvero subito dal lavoratore durante il tragitto casa-lavoro, sia del terzo non dipendente dell’impresa se il fatto è avvenuto nella sede dell’azienda, ovvero in una unità della stessa (vedi qui).
Per dare luogo ad un risarcimento danni infortunio sul lavoro gli elementi che devono sussistere allo stesso tempo sono, quindi, la lesione del lavoratore, la causa violenta all’origine della lesione, intesa come specificato dall’Inail come ogni “fattore che opera dall’esterno nell’ambiente di lavoro, con azione intensa e concentrata nel tempo, e presenta le seguenti caratteristiche: efficienza, rapidità ed esteriorità” e l’occasione di lavoro, ovvero un rapporto anche indiretto tra l’attività lavorativa svolta dal lavoratore e l’incidente che abbia causato l’infortunio.
L’assicurazione Inail è obbligatoria per tutti i datori di lavoro che occupano lavoratori dipendenti in attività che la legge identifica come rischiose.
I datori di lavoro sono obbligati a garantire l’incolumità fisica dei lavoratori (D.Lgs. 09/04/2008, n. 81 Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, oltre diverse leggi speciali) ed hanno l’obbligo giuridico di assicurare i lavoratori dipendenti, parasubordinati ed alcune tipologie di lavoratori autonomi (es. artigiani e coltivatori diretti) dal rischio di possibili infortuni sul lavoro e di malattie professionali.
L'assicurazione, gestita dall'INAIL, l'Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, ha la funzione di garantire ai lavoratori, in caso di infortunio o di malattia professionale, prestazioni sanitarie relative alle prime cure, prestazioni economiche e forniture di apparecchi di protesi ed eroga il risarcimento danni infortunio sul lavoro ai lavoratori che subiscono danni fisici ed economici derivanti da infortunio sul lavoro e malattia professionale. (artt. 1 e 4 Testo Unico n. 1124/1965).
Il datore di lavoro assicurato presso INAIL è esente da responsabilità civile a seguito dell’infortunio sul lavoro o della malattia professionale salvo che sia riconosciuta, in sede penale o civile, la sua responsabilità per la violazione delle norme di prevenzione e igiene sul lavoro.
Nel caso, infatti, in cui l’infortunio sul lavoro sia avvenuto per colpa del datore di lavoro per non aver osservato le norme sulla sicurezza o per non aver vigilato sul rispetto delle misure protettive da parte dei dipendenti, oppure non ha assolto l’obbligo di formare il lavoratore, o in tutti i casi in cui il datore di lavoro non riesca a fornire la prova liberatoria di avere tenuto una condotta diligente, il lavoratore infortunato, oltre alla copertura assicurativa INAIL, potrà chiedere al datore di lavoro il risarcimento danni infortunio sul lavoro subiti, ovvero il così detto danno differenziale.
In parole povere il danno differenziale altri non è che la parte di danno non coperta dalla tutela assicurativa INAIL e soggetto ad azione di rivalsa da parte di quest’ultima.
Pertanto il “danno differenziale” (quello maggiore rispetto a quello indennizzato o indennizzabile dall’INAIL, ovvero quello che esula dalla copertura assicurativa INAIL (c.d. danni complementari) rappresenta una importantissima voce di danno che comprende il risarcimento totale di vari tipi di danno. Sinteticamente:
- danno biologico temporaneo, ovvero i pregiudizi anatomo-funzionali, dinamico-relazionali e di sofferenza psico-fisica subiti dalla vittima, in conseguenza della lesione del diritto alla salute, limitatamente al periodo di malattia;
- danno biologico in franchigia (fino a 5%), cioè la lesione permanente all’integrità psico-fisica della persona che esplica una incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato;
- danno patrimoniale in franchigia (fino al 5 %); la lesione di un interesse patrimoniale, sia in termini di diminuzione del patrimonio (c.d. “danno emergente” ), sia in termini di mancato guadagno determinato dal fatto dannoso (c.d. “lucro cessante” ).
- danno morale o da sofferenza soggettiva interiore, vale a dire lo stato d'animo di sofferenza interiore, che prescinde del tutto dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato.;
- personalizzazione del danno, ossia quelle specifiche conseguenze eccezionali, ulteriori rispetto a quelle ordinariamente conseguenti alla menomazione specificamente disciplinata in via normativa dall’art. 138, n. 3 nuovo testo C.d.A. secondo cui: "qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamicorelazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l'ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale (...), può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30%".
Per il caso di morte dell’assicurato per infortunio sul lavoro è in vigore l’art. 85 T.U. INAIL che riconosce l’erogazione di una rendita ai prossimi congiunti, individuati primariamente nel coniuge e nei figli e, in assenza di questi, negli ascendenti e poi ancora nei fratelli, se conviventi e a suo carico.
Rimane salva la possibilità per i congiunti di ottenere, sempre iure proprio:
- il risarcimento del maggior danno patrimoniale “differenziale”;
- il risarcimento del danno non patrimoniale patito a causa della perdita del rapporto parentale, non compreso tra le voci di indennizzo riconosciute dell’INAIL
I prossimi congiunti potranno acquisire altresì iure hereditario i diritti risarcitori eventualmente maturati dal lavoratore mentre era in vita. Inoltre, sempre tra i danni iure hereditario di particolare rilevanza emerge il c.d. danno catastrofale o terminale da lucida agonia con riferimento alla sofferenza provata dalla vittima nella cosciente attesa della morte seguita.
E così la Suprema Corte (Cass. civ. Sez. III, Ord., 05-07-2019, n. 18056) secondo cui “Anche una sopravvivenza di pochi minuti, infatti, può consentire alla vittima di percepire la propria fine imminente… Così, ad esempio, i passeggeri del volo GermanWings, che il 24.3.2015 la lucida follia d'un pilota condusse a schiantarsi sui Pirenei, trascorsero solo sei minuti in cui ebbero la chiara percezione che il velivolo su cui si trovavano stava precipitando, e non v'era scampo: ma nessuno oserebbe negare che il timor panico da essi provato in quella manciata di minuti non costituisca, per il nostro ordinamento, un danno risarcibile.”
Per ottenere il risarcimento danni infortunio sul lavoro, il lavoratore deve dimostrare il fatto costituente l’inadempimento, e cioè la nocività o pericolosità dell’ambiente di lavoro di aver subito un danno in seguito all’infortunio ed il suo ammontare ed il nesso causale tra l’inadempimento ed il danno, ovvero il rapporto tra l'evento dannoso e il comportamento del datore di lavoro.
Non dovrà, invece, il lavoratore provare la colpa del datore, nei cui confronti opera la presunzione ex art. 1218 c.c.. vertendosi in materia di responsabilità contrattuale. Mentre, nel caso di risarcimento danni avanzati iure proprio dai prossimi congiunti l’onere probatorio cadrà completamente a loro carico trattandosi di responsabilità extracontrattuale.
Il datore di lavoro può essere esonerato dal pagare il risarcimento del danno solo se riesce a dimostrare di aver rispettato tutti gli obblighi di sicurezza previsti per legge a tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, di aver fatto tutto quello che poteva per evitare il verificarsi dell’infortunio e quindi del danno, fornendo la prova liberatoria che il danno dipende da una causa a lui non imputabile.
Ma ricordiamo che non è configurabile il concorso di colpa del lavoratore per negligenza, imprudenza o imperizia dello stesso, allorquando le disposizioni di sicurezza dettate dal datore di lavoro e non rispettate dal dipendente siano di per sé illegali e contrarie ad ogni regola di prudenza. (vedi qui)
Tutti i casi di infortuni gravi o gravissimi, con prognosi superiore ai 40 giorni lavorativi, vengono segnalati direttamente dall’INAIL o dalla Polizia Giudiziaria alla Procura della Repubblica, che procederà poi d’ufficio per il reato di lesioni colpose gravi o gravissime, senza necessità alcuna di querela da parte dell’infortunato.
Nei casi di morte per infortunio del lavoratore la Procura della Repubblica avvierà, invece, un’indagine per omicidio colposo.
L’art. 185 c.p. recita che: “Ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili. Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui.”
La Cassazione, in sede civile, ha affermato che “la risarcibilità del danno non patrimoniale, prevista dall'art. 2059 c.c. in relazione all'art. 185 c.p. non richiede che l'illecito integri in concreto un reato, essendo sufficiente che sia astrattamente previsto come tale, come si desume dall'art. 198 c.p. secondo cui l'estinzione del reato o delle pene non importa l'estinzione delle obbligazioni civili derivanti dal reato medesimo (Cass. 10 novembre 1997, n. 11038; Cass. S. U. 6.12.1982, n. 6651).”
Abbiamo sinteticamente su precisato le varie voci di danno ed altrettanto sinteticamente precisiamo che la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 20/08/2018 n.20795) ha avuto modo di rammentare che nella valutazione del danno non patrimoniale e nella sua liquidazione, il giudice di merito deve considerare tutte le conseguenze patite dal danneggiato, tanto nella sua sfera morale, ossia nel rapporto che il soggetto ha con sé stesso, quanto in quella dinamico-relazionale, che riguarda il rapporto del soggetto con la realtà esterna.
Dovrà, nell’accertamento e nella conseguente quantificazione del danno non patrimoniale, distinguere il danno dinamico-relazionale da quello morale.
In tal senso depone sia l’insegnamento della Consulta (Corte cost., Sent., 6-10-2014, n. 235) che il dato normativo di cui agli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni, così come novellato.
In particolare, al giudice spetterà di analizzare congiuntamente, ma distintamente, il danno morale inteso come dolore, ovvero disperazione ed il danno dinamico-relazionale destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto.
Accertamento, unitario ed omnicomprensivo, che deve avvenire in concreto (non in astratto), ricorrendo a tutti i mezzi di prova, compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni.
In punto di mera quantificazione del danno recenti sentenze della Suprema Corte hanno messo in parziale discussione il valore “para-normativo” delle tabelle del Tribunale di Milano, ritenendo più congruo il sistema di liquidazione “a punti” elaborato dal Tribunale di Roma.
Infatti, tra i criteri di liquidazione delle due tabelle esiste, come è noto, una difformità: quelli elaborati dal Tribunale di Roma prevedono, appunto, un sistema “a punti” in base al quale si tiene specificamente conto del rapporto di parentela tra vittima e superstite, della loro età e convivenza, nonché della presenza all’interno del nucleo familiare di altri familiari conviventi; quelli previsti dalle tabelle meneghine, invece, non sono fondati sulla tecnica del punto, bensì sull'individuazione di un importo minimo, con possibilità di un aumento personalizzato entro un tetto massimo.
In ogni caso, ciò che deve essere rimarcato è come la liquidazione del danno non patrimoniale debba sempre avere carattere essenzialmente equitativo ed il giudice possa, e debba, ove richiesto, dandone come ovvia adeguata motivazione, discostarsi dai criteri tabellari al fine di rendere la quantificazione del risarcimento maggiormente adeguata alle particolari circostanze del caso concreto.
La recente sentenza della Suprema Corte (Cass. civ. Sez. III, Sent.,10-11-2021, n. 33005), nel dar seguito all’altrettanto recente precedente di Cassazione 21 aprile 2021, n. 10579, ha acclarato i seguenti principi di diritto:
"ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale mediante il criterio tabellare il danneggiato ha esclusivamente l'onere di fare istanza di applicazione del detto criterio, spettando poi al giudice di merito di liquidare il danno non patrimoniale mediante la tabella conforme a diritto;"
"... il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella".