La responsabilità del Dirigente Scolastico per infezione da Covid-19 nell’infortunio mortale sul lavoro va accertata con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative.
Una cosa sono i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail, altri i presupposti per imputare al Dirigente Scolastico la propria responsabilità sia sotto il profilo penale che quello civile.
L’articolo 42 comma 2 del Decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020 (“Decreto Cura Italia”) ha previsto la copertura Inail per gli assicurati che contraggono un’infezione da coronavirus nell’ambito del contesto lavorativo. Conseguentemente l’infezione da SARS-Cov-2 in occasione di lavoro è stata equiparata all’infortunio sul luogo di lavoro.
L’Inail ha chiarito che insegnanti, dirigenti scolastici, personale ATA (collaboratori scolastici, assistenti amministrativi, tecnici) educatori ed altri, qualora la prestazione lavorativa sia resa in presenza, quindi a contatto con studenti ed altri soggetti, sono da intendersi esposti ad elevato rischio di contagio.
L’Inail è, comunque, sempre tenuto a verificare, caso per caso, le circostanze dell’infortunio denunciato: il contagio, ad esempio, potrebbe essere avvenuto in ambito familiare e non nell’ambiente lavorativo.
Sul punto l’Inail ha menzionato, con la circolare Inail n. 13 del 3 aprile 2020, il criterio della c.d. “presunzione semplice”, adottato al fine di superare l’indeterminatezza del momento di contagio, richiamando i principi che presiedono all’accertamento dell’infortunio nel caso delle malattie infettive e parassitarie, nelle quali come è noto è difficile o impossibile stabilire il momento contagiante.
In altri termini, la presunzione semplice che, si precisa, ammette sempre la prova contraria, presuppone comunque l’accertamento rigoroso dei fatti e delle circostanze che facciano fondatamente desumere che il contagio sia avvenuto in occasione di lavoro.
In proposito si è fatto riferimento alle linee guida per la trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie di cui alla circolare Inail 23 novembre 1995, n.74.
Con la Circolare n. 22 del 20 maggio 2020 l’Inail ha precisato che dette linee, adottate sulla base di un indirizzo giurisprudenziale consolidato, si basano su due principi fondamentali:
“a) deve essere considerata causa violenta di infortunio sul lavoro anche l’azione di fattori microbici e virali che penetrando nell’organismo umano ne determinano l’alterazione dell’equilibrio anatomico-fisiologico, sempre che tale azione, pur se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo, sia in rapporto con lo svolgimento dell’attività lavorativa;
b) la mancata dimostrazione dell’episodio specifico di penetrazione nell’organismo del fattore patogeno non può ritenersi preclusiva della ammissione alla tutela, essendo giustificato ritenere raggiunta la prova dell’avvenuto contagio per motivi professionali quando, anche attraverso presunzioni, si giunga a stabilire che l’evento infettante si è verificato in relazione con l’attività lavorativa. E perché si abbia una presunzione correttamente applicabile non occorre che i fatti su cui essa si fonda siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile del fatto noto, bastando che il primo possa essere desunto dal secondo come conseguenza ragionevole, probabile e verosimile secondo un criterio di normalità (cosiddetta “presunzione semplice”).”
Il riconoscimento dell’origine professionale del contagio, si precisa nella circolare 22/20, si fonda in conclusione, su un giudizio di ragionevole probabilità ed è totalmente avulso da ogni valutazione circa la responsabilità del Dirigente Scolastico per infezione da Covid-19 nell’infortunio mortale per eventuali comportamenti omissivi che possano essere stati causa del contagio.
La responsabilità del Dirigente Scolastico per infezione da Covid-19 nell’infortunio mortale sul lavoro si configura laddove è possibile dimostrare, oltre il nesso di causalità tra il contagio e l’ambiente di lavoro, di non aver posto in essere tutte quelle garanzie atte a tutelare i lavoratori dal Covid-19 atteso che il dirigente scolastico, non va dimenticato, è datore di lavoro.
È intervenuto sul punto il Ministero dell’Istruzione (MI), (oggi Ministero dell'Istruzione e del Merito) attraverso una nota ufficiale del 20 agosto 2020 che, in merito alla responsabilità dei Dirigenti scolastici, ha ritenuto applicabili i principi espressi dall’INAIL con circolare n. 22 del 20 maggio 2020, secondo cui: da un parte, l’infezione da Covid-19 è tutelata dall’INAIL quale infortunio sul lavoro; dall’altra, non possono confondersi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo con i presupposti per la responsabilità civile e penale del datore di lavoro (nel caso in esame, Dirigente scolastico), i quali devono essere rigorosamente accertati con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative.
Pertanto, scrive il MIUR, la responsabilità del personale dirigenziale è configurabile esclusivamente nel caso di condotte tenute in violazione di obblighi di comportamento previsti dalla legge o di «obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche» elencati nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all’art. 1 co. 14 del D.L. 16 maggio 2020, n. 33.
Detto comma difatti sancisce che: “Le attività economiche, produttive e sociali devono svolgersi nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi, adottati dalle regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali. In assenza di quelli regionali trovano applicazione i protocolli o le linee guida adottati a livello nazionale. Le misure limitative delle attività economiche, produttive e sociali possono essere adottate, nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, con provvedimenti emanati ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020 o del comma 16.”
Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da Covid-19, i Dirigenti scolastici devono osservare e curare il rispetto delle regole previste nei protocolli stipulati dal Governo in accordo con le organizzazioni sindacali, nonché dei protocolli e linee guida adottati per lo specifico delle istituzioni scolastiche, la cui osservanza è idonea a rappresentare quali assolti gli obblighi richiamati ex art. 2087 c.c. da parte del datore di lavoro.
Il rispetto delle linee guida sopra individuate e delle ulteriori indicazioni operative pubblicate dal Ministero dell’Istruzione garantisce non solo la prevenzione e la sicurezza negli ambienti scolastici ma anche l’esenzione da responsabilità dei Dirigenti scolastici e del personale scolastico che ivi svolgono la loro funzione.
Chiarisce la nota suddetta che “In sostanza, i dirigenti scolastici possono veder escludere ogni timore di una semplicistica, ma errata, automatica corrispondenza tra malattia da Covid-19, infortunio sul lavoro, riconoscimento della responsabilità civile e penale del datore di lavoro applicando quanto previsto dal protocollo generale sulla sicurezza siglato in data 6 agosto 2020 e dallo specifico protocollo per i servizi educativi e le scuole dell’infanzia in via di pubblicazione; dal complesso delle disposizioni emanate e raccolte nella pagina https://www.istruzione.it/rientriamoascuola/index.html ; dalle eventuali ulteriori disposizioni che il Ministero trasmetterà prontamente e ufficialmente, volte anche a considerare le specificità delle singole istituzioni scolastiche, opportunamente valutate e ponderate dai dirigenti medesimi.”
La responsabilità del Dirigente Scolastico per infezione da Covid-19 nell’infortunio mortale sul lavoro emerge, quindi, sia sotto il profilo penale che civile se non ha realizzato tutte quelle garanzie atte a tutelare i lavoratori dal Covid-19, malattia infettiva inquadrata, dalla circolare n. 13 del 3 aprile 2020 l’Inail, nella categoria degli infortuni sul lavoro.
Laddove sia accertata la responsabilità del Dirigente Scolastico per infezione da Covid-19 nell’infortunio mortale sul lavoro si apre la strada al risarcimento del danno dei prossimi congiunti tanto (iure hereditatis) del danno non patrimoniale cosiddetto terminale, che è derivato al lavoratore per l’agonia e la terribile sofferenza patita prima del decesso, quanto (iure proprio) del danno patrimoniale e non patrimoniale da perdita del rapporto parentale.
La Suprema Corte ha al riguardo elaborato principi ormai consolidatisi nel diritto vivente. Secondo i giudici di legittimità, il danno terminale a titolo ereditario è configurabile laddove tra l’evento lesivo e il decesso sia intervenuto un lasso di tempo apprezzabile, che fonda appunto il riconoscimento del c.d. "danno biologico terminale”, al quale può aggiungersi il corrispondente danno morale, derivante dalla percezione dell’imminente fine. In tale lasso di tempo, spiegano i giudici di legittimità, la vittima si trova in uno stato di “lucidità agonica”, in quanto in grado di percepire la sofferenza della fine imminente.
In tali casi è del tutto palese che, nei numerosi giorni del ricovero ospedaliero, e specialmente durante quelli vigilissimi e angosciosi che precedono l’accesso alla terapia intensiva, come anche in quelli prima della completa sedazione, si abbia la chiara e terribile percezione della fine imminente.
Il danno biologico e morale terminale che si patisce deve perciò essere risarcito in favore degli eredi.
Per quanto attiene, poi, al danno spettante ai prossimi congiunti per la perdita del rapporto parentale, essi, quali vittime secondarie dell’evento morte, hanno diritto al risarcimento iure proprio del danno patrimoniale (consistente nella perdita delle utilità economiche di cui beneficiavano e di cui, presumibilmente, avrebbero continuato a godere in futuro), del danno non patrimoniale biologico (che ricorre qualora le sofferenze causate dalla perdita del prossimo congiunto hanno determinato una loro lesione dell’integrità psicofisica) e del danno non patrimoniale di natura morale ed esistenziale (quale lesione grave e irreparabile del legame familiare costituzionalmente tutelato).
Sul punto, per parsimonia espositiva, si richiama quanto già ampiamento scritto in questo blog.
E’ da ritenersi pacifico che, accertata la responsabilità del Dirigente Scolastico per infezione da Covid-19 nell’infortunio mortale sul lavoro, si può estendere la domanda risarcitoria altresì nei confronti del Ministero dell’Istruzione e del Merito (MI?), in applicazione del principio di immedesimazione organica posto dall’art. 28 della Costituzione atteso che l’amministrazione è chiamata a rispondere per fatto proprio dell’operato dei suoi agenti sia nell’esplicazione dell’attività amministrativa che in quella materiale, in rapporto di solidarietà.
In particolare l’art. 22 del T.U. n. 3/1957, attuando l’art. 28 della Costituzione, ha previsto che l’azione di risarcimento nei confronti dell’impiegato può essere esercitata congiuntamente con l’azione diretta nei confronti dell’amministrazione.
Preme, peraltro, rilevare che le due responsabilità, diretta nella fattispecie del Dirigente Scolastico e diretta della p.a., non sono in rapporto di sussidiarietà o tantomeno in rapporto di cumulabilità, ma di solidarietà, ossia concorrenza alternativa, potendo il danneggiato proporre l’azione di risarcimento contro il Dirigente Scolastico o il Ministero dell’Istruzione e del Merito. Ma mentre il Dirigente Scolastico è responsabile solo per dolo o colpa grave, all’amministrazione può essere imputata la responsabilità anche in tutti i casi in cui l’azione contro il singolo funzionario non è ammessa, come i casi di colpa lieve.
Sotto altro profilo merita allora sottolineare che nei comportamenti commissivi e/o omissivi dei predetti Enti si manifesta una lesione dell'affidamento riposto dal privato nella correttezza dell'azione amministrativa, che si sostanzia nella fiducia, o meglio nella delusione della fiducia del privato e nel conseguente danno subito; si tratta, in sostanza, di un'aspettativa di coerenza e di non contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione fondata sui canoni della correttezza e della buona fede.
Il dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede (che trova il suo principale fondamento nel più generale dovere di solidarietà di cui all'art. 2 Cost.), deve in particolar modo essere rispettato da chi esercita una funzione amministrativa, costituzionalmente sottoposta ai principi di imparzialità e di buon andamento (art. 97 Cost.).
In altre parole, il cittadino si aspetta dalla P.A. uno sforzo maggiore, in termini di correttezza, lealtà, protezione e tutela dell'affidamento, rispetto a quello che si attenderebbe dal quisque de populo.
Vi è, secondo le Sezioni Unite (Cass. civ. Sez. Unite, Ord., 28-04-2020, n. 8236) un quid pluris rispetto al generale precetto del neminem laedere, di guisa che alla stregua dei principi enunciati in Cass. 14188/16 (successivamente ripresi anche da Cass. 25644/2017) e confermati dalle Sezioni Unite succitate “la responsabilità che grava sulla pubblica amministrazione per il danno prodotto al privato a causa della violazione dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell'azione amministrativa...va ricondotta allo schema della responsabilità da contatto sociale, da inquadrare nell'ambito della responsabilità contrattuale” e come tale idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e ciò “anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché, in definitiva, il privato ha riposto il proprio affidamento in un comportamento mero dell'amministrazione”
E ciò con le inevitabili conseguenze in punto di onere probatorio.