La morte del lavoratore per infortunio sul lavoro consente ai superstiti di richiedere un indennizzo (rendita vitalizia) all’ l’INAIL, Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, anche quando il datore di lavoro abbia adottato tutte le misure richieste dalla normativa che tutela la salute e la sicurezza dei dipendenti nei luoghi di lavoro.
I datori di lavoro che occupano lavoratori dipendenti e lavoratori parasubordinati nelle attività che la legge individua come rischiose sono, difatti, tenuti ad un obbligo assicurativo e ciò determina in loro favore un esonero di responsabilità, ad esclusione che sia accertata una responsabilità penale.
L' art. 2 del T.U. INAIL ha stabilito che "L’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, ivi comprese le attività prodromiche e strumentali, da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni."
Al verificarsi della morte del lavoratore per infortunio sul lavoro l'Istituto di previdenza corrisponde, quindi, ai prossimi congiunti un indennizzo, ovvero una rendita vitalizia.
Ma laddove per la morte del lavoratore sia riconosciuta la responsabilità penale del datore di lavoro per violazione delle norme di prevenzione in materia di sicurezza sul lavoro, i prossimi congiunti del lavoratore deceduto possono avanzare richiesta di risarcimento danni iure proprio; ma possono altresì reclamare un risarcimento del danno iure hereditatis, per il cosiddetto danno catastrofale o terminale, nel caso in cui la morte del lavoratore per infortunio sul lavoro sia stata sofferente e/o agonizzante.
La morte del lavoratore per infortunio sul lavoro, quindi, legittima i prossimi congiunti a richiedere l’indennizzo all’Inail e, ove accertato un fatto reato per violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro, il risarcimento danni al datore di lavoro.
Nel caso di morte del lavoratore per infortunio sul lavoro, l’INAIL riconosce l’erogazione di una rendita ai prossimi congiunti, individuati primariamente nel coniuge e nei figli e, in assenza di questi, negli ascendenti e poi ancora nei fratelli, se conviventi e a suo carico.
Con la rendita si vuole rimborsare il danno subito dai superstiti, come conseguenza della morte del lavoratore per infortunio sul lavoro, sul presupposto di un rapporto di dipendenza economica dal lavoratore deceduto.
L’art. 85 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (T.U. INAIL) stabilisce che:
Se l’infortunio ha per conseguenza la morte, spetta a favore dei superstiti sottoindicati una rendita nella misura di cui ai numeri seguenti ragguagliata al 100 per cento della retribuzione calcolata secondo le disposizioni degli articoli da 116 a 120 del Testo Unico. Per i lavoratori deceduti a decorrere dal 1º gennaio 2014 la rendita ai superstiti è calcolata, in ogni caso, sul massimale di cui al terzo comma dell’articolo 116 del Testo Unico.
La rendita decorre dal giorno successivo alla morte del lavoratore ed è erogata agli aventi diritto:
1) il cinquanta per cento al coniuge superstite o alla persona unita civilmente fino alla morte o a nuovo matrimonio o nuova unione civile; in questo secondo caso è corrisposta la somma pari a tre annualità di rendita
2) figli: il venti per cento a ciascun figlio nato nel matrimonio, nato fuori del matrimonio, riconosciuto o riconoscibile, e adottivo, fino al raggiungimento del diciottesimo anno di età; il quaranta per cento se si tratti di orfani di entrambi i genitori, ovvero di orfano del genitore naturale o il cui genitore superstite non abbia diritto alla quota di cui al n. 1 e, nel caso di figli adottivi, siano deceduti anche entrambi gli adottanti.
Per i figli viventi a carico del lavoratore infortunato al momento del decesso e che non prestino lavoro retribuito, dette quote sono corrisposte fino al raggiungimento del ventunesimo anno di età, se studenti di scuola media o professionale, e per tutta la durata normale del corso, ma non oltre il ventiseiesimo anno di età, se studenti universitari.
Se siano superstiti figli inabili al lavoro la rendita è loro corrisposta finché dura l’inabilità. Sono compresi tra i superstiti di cui al presente numero, dal giorno della nascita, i figli concepiti alla data dell’infortunio. Salvo prova contraria, si presumono concepiti alla data dell’infortunio i nati entro trecento giorni da tale data;
3) in mancanza di superstiti di cui ai numeri 1), e 2), il venti per cento a ciascuno degli ascendenti e dei genitori adottanti se viventi a carico del defunto e fino alla loro morte;
4) in mancanza di superstiti di cui ai numeri 1), e 2), il venti per cento a ciascuno dei fratelli e sorelle se conviventi con l'infortunato e a suo carico nei limiti e nelle condizioni stabiliti per i figli.
La somma delle rendite spettanti ai suddetti superstiti nelle misure a ciascuno come sopra assegnate non può superare l'importo dell'intera retribuzione calcolata come sopra. Nel caso in cui la somma predetta superi la retribuzione, le singole rendite sono proporzionalmente ridotte entro tale limite. Qualora una o più rendite abbiano in seguito a cessare, le rimanenti sono proporzionalmente reintegrate sino alla concorrenza di detto limite. Nella reintegrazione delle singole rendite non può peraltro superarsi la quota spettante a ciascuno degli aventi diritto ai sensi del comma precedente.
Oltre alle rendite di cui sopra è corrisposto una volta tanto un assegno di euro 10.000 al coniuge superstite, o, in mancanza, ai figli, o, In mancanza di questi, agli ascendenti, o, in mancanza di questi ultimi, ai fratelli e sorelle. Qualora non esistano i superstiti predetti, l'assegno è corrisposto a chiunque dimostri di aver sostenuto spese in occasione della morte del lavoratore nella misura corrispondente alla spesa sostenuta, entro il limite massimo dell'importo previsto per i superstiti aventi diritto a rendita.
Per gli addetti alla navigazione marittima ed alla pesca marittima l'assegno di cui al precedente comma non può essere comunque inferiore ad una mensilità di retribuzione.
Agli effetti del presente articolo sono equiparati ai figli gli altri discendenti viventi a carico del defunto che siano orfani di ambedue i genitori o figli di genitori inabili al lavoro, gli affiliati e gli esposti regolarmente affidati, e sono equiparati agli ascendenti gli affilianti e le persone a cui gli esposti sono regolarmente affidati.
Accertata la responsabilità penale del datore di lavoro per la morte del lavoratore , cui può procedere in via incidentale il giudice civile, i prossimi congiunti del lavoratore deceduto per infortunio sul lavoro hanno diritto, per la perdita del rapporto parentale, al risarcimento danni iure proprio:
a) del danno patrimoniale, consistente nella perdita delle utilità economiche di cui godevano e, verosimilmente, avrebbero continuato a beneficiare in futuro;
b) del danno non patrimoniale di natura morale ed esistenziale quale lesione grave e irreparabile del legame familiare costituzionalmente tutelato, ovvero di quella sofferenza prettamente interiore patita per la perdita affettiva riscontrabile sul piano dell'afflizione e della compromissione dell'ordinario equilibrio emotivo;
c) del danno non patrimoniale biologico di tipo psichico che, a differenza del primo, deve essere provato sotto il profilo medico-legale e riguarda le sofferenze causate dalla perdita del prossimo congiunto per aver determinato una loro lesione dell’integrità psicofisica, rappresentato dalla modificazione delle attività della vita quotidiana e degli eventuali aspetti dinamico-relazionali in conseguenza di tale perdita affettiva.
La Suprema Corte, difatti, (Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 20/08/2018 n.20795) ha avuto modo di rammentare che nella valutazione del danno non patrimoniale e nella sua liquidazione, il giudice di merito deve considerare tutte le conseguenze patite dal danneggiato, come nel caso di morte del lavoratore per infortunio sul lavoro, tanto nella sua sfera morale, ossia nel rapporto che il soggetto ha con sé stesso, quanto in quella dinamico-relazionale, che riguarda il rapporto del soggetto con la realtà esterna.
Nell’accertamento e nella conseguente quantificazione del danno non patrimoniale, si dovrà distinguere il danno dinamico-relazionale da quello morale. In tal senso depone sia l’insegnamento della Consulta (Corte cost., Sent., 16-10-2014, n. 235) che il dato normativo di cui agli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni, così come novellato.
In particolare, al giudice spetterà di analizzare congiuntamente, ma distintamente, il danno morale inteso come dolore, ovvero disperazione ed il danno dinamico-relazionale destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto.
Per un approfondimento sul punto vedi qui
I superstiti della vittima dell’infortunio sul lavoro possono altresì recriminare, quale danno iure successionis, sia il danno morale terminale che il danno biologico terminale.
Il primo (danno morale terminale), quale danno da lucida agonia o danno catastrofale o catastrofico, consiste nel pregiudizio subito dalla vittima in ragione della sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l'ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall'apprezzabilità dell'intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando soltanto l'integrità della sofferenza medesima.
Il secondo, (danno biologico terminale) quale pregiudizio alla salute che, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità e intensità, sussiste, per il tempo della permanenza in vita, a prescindere dalla percezione cosciente della gravissima lesione dell'integrità personale della vittima nella fase terminale della stessa, ma richiede, ai fini della risarcibilità, che tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo (Cass. civ. Sez. III, Ord., 05-05-2021, n. 11719).
Va precisato che soltanto il danno biologico terminale richiede un certo lasso di tempo, mentre il danno morale terminale (da lucida agonia o formido mortis), ossia il turbamento derivante dalla consapevolezza della morte imminente non richiede alcuna valutazione temporale.
Le Sezioni Unite Civili (Cass. Civile, SS.UU., sentenza 22/05/2018 n° 12566) hanno statuito il seguente principio di diritto: l’importo della rendita per l’inabilità permanente corrisposta dall’Inail per l’infortunio in itinere occorso al lavoratore, va detratto dall’ammontare del risarcimento dovuto al danneggiato, allo stesso titolo, da parte del terzo responsabile del fatto illecito”.
Va da sé che anche nel caso di rendita vitalizia per la morte del lavoratore per infortunio sul lavoro l'importo va decurtato, ovvero le somme liquidate dall'INAIL, come rendita, vanno detratte dall'ammontare dovuto, allo stesso titolo, dal responsabile del danno.
Diversamente opinando, i prossimi congiunti otterrebbero due volte la riparazione del medesimo danno subito, e pertanto la rendita vitalizia liquidata dall'INAIL va sottratta dall'importo dovuto dal terzo danneggiante che ha causato la morte del lavoratore (Corte di Cassazione, sentenza 27 maggio 2019 n. 14362).
Negli stessi termini Cass. civ., Sez. III, Sent., 27/09/2021, n. 26117 che nello stilare un vero e proprio vademecum sulle modalità di calcolo del danno iatrogeno differenziale ha acclarato tra gli altri il seguente principio di diritto:... "b) nel caso di indennizzo sotto forma di rendita, la detrazione deve avvenire sottraendo dal credito civilistico il cumulo dei ratei già riscossi e del valore capitale della rendita ancora da erogare, al netto dell'aliquota di rendita destinata al ristoro del danno patrimoniale;"