Cass. pen., Sez. IV, Sent., 06/12/2023, n. 48523
Per giurisprudenza costante, un comportamento, anche avventato, del lavoratore, se realizzato mentre egli è dedito al lavoro affidatogli, può essere invocato come imprevedibile o abnorme solo se il datore di lavoro ha adempiuto tutti gli obblighi che gli sono imposti in materia di sicurezza sul lavoro
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente -
Dott. VIGNALE Lucia - rel. Consigliere -
Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere -
Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -
Dott. CIRESE Marina - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
A.A., nato a (Omissis);
COS.M.I. Srl ;
avverso la sentenza del 20/04/2022 della CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. VIGNALE LUCIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. CENICCOLA ALDO, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
uditi i difensori presenti:
avvocato ENRICO DE LUCA, del foro di TERNI, per le parti civili B.B., C.C., D.D. e E.E., che ha chiesto la conferma della sentenza impugnata depositando memoria, conclusioni e nota spese; avvocato DANIELE PEPPE, del foro di Roma, in sostituzione ex art. 102 c.p.p. dell'avvocato ROBERTO CALLERI e DI SALA ROBERTO, per il responsabile civile A.R.C.E.M.I. IMPIANTI Srl . che ha sostenuto esservi errore nella citazione della sua assistita, non più interessata al procedimento in ragione della definitiva assoluzione del legale rappresentante F.F., imputato nel procedimento;
avvocato ALOMA PIAZZA del foro di TREVISO in difesa di A.A. e del responsabile civile COS.M.I. Srl , che ha illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l'accoglimento;
avvocato BRUNO CAPALDINI del foro di TERNI in difesa di A.A. che ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
1. Con sentenza del 20 aprile 2022, la Corte di appello di Torino ha riformato la sentenza pronunciata dal Tribunale della stessa città il 4 giugno 2019 limitatamente alla posizione di A.A. e della "Cos.m.i. Srl ", citata in giudizio quale responsabile civile.
A.A., titolare della "Cos.m.i. Srl " e datore di lavoro di G.G., era imputato, insieme ad altri, del reato di cui agli art.113 c.p., art. 589 c.p., commi 1 e 2 ed era accusato di aver cagionato, per colpa, la morte di G.G., caduto da un trabattello alto circa sette metri mentre lavorava al montaggio di parti di un impianto di biogas in costruzione a (Omissis) (TO).
All'esito del giudizio di primo grado tutti gli imputati furono assolti. La sentenza fu impugnata dalle parti civili e riformata dalla Corte di appello limitatamente alla posizione di A.A., che è stato dichiarato responsabile ai soli fini civili del reato a lui ascritto. Di conseguenza, A.A. e la responsabile civile "Cos.m.i. Srl " sono stati condannati, in solido tra loro, al risarcimento del danno - da liquidarsi in separato giudizio - in favore delle parti civili appellanti, E.E., C.C., D.D. e B.B. (moglie e figli dell'infortunato).
2. Il procedimento ha ad oggetto un infortunio sul lavoro verificatosi a (Omissis) il 19 dicembre 2012. Secondo la ricostruzione compiuta dai giudici di merito - non controversa in punto di fatto nelle parti che rilevano ai fini della decisione - il giorno dei fatti, G.G., H.H. e I.I., dipendenti della Cos.m.i. Srl , dovevano occuparsi del montaggio di due coclee collegate tra loro (una verticale e una inclinata) destinate a portare materiali all'interno del digestore principale di un impianto di biogas. L'impianto era in costruzione, stava per essere ultimato (la consegna era prevista per il 31 dicembre) ed era di proprietà della "Scalenghe Biogas società agricola a r.l.". Questa società ne aveva appaltato la costruzione: per quanto riguarda gli scavi, le recinzioni e la realizzazione delle opere in cemento armato, alla "Cogedim Srl "; per quanto riguarda la parte impiantistica (che rileva nel presente procedimento), alla "Sebigas s.p.a.". La Sebigas aveva affidato in subappalto alla "A.R.C.E.M.I. Impianti Srl " la fornitura e il montaggio dell'impianto di alimentazione del digestore primario e la A.R.C.E.M.I. aveva a sua volta subappaltato il montaggio di alcune parti di quest'impianto alla società consortile a responsabilità limitata "Conart". La Cos.m.i. Srl (società della quale A.A. era legale rappresentante) era una delle consorziate e doveva procedere al montaggio delle coclee destinate a trasportare i materiali nel digestore. Per questa attività, A.A. aveva inviato a (Omissis), da Terni (ove la Cos.m.i. ha la sede e la struttura operativa), una squadra composta da tre persone (G.G., H.H. e I.I.). B.B. era il capo di questa squadra e aveva ricevuto l'incarico di preposto ai sensi del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 19. Il lavoro che la squadra era stata incaricata di svolgere consisteva nel collegare tra loro due coclee, una verticale e una inclinata, per poi inserire la coclea inclinata in un foro appositamente predisposto nella parete del digestore. Poichè le coclee erano pesanti e dovevano essere sollevate, la Cos.m.i. aveva provveduto a noleggiare un'autogrù con operatore.
L'autogrù era di proprietà della "Autotrasporti Villar Srl " ed era manovrata da L.L., dipendente di questa società.
G.G., H.H. e I.I. giunsero in cantiere nel pomeriggio del (Omissis) e scaricarono nel piazzale adiacente al digestore il materiale necessario alle lavorazioni: in particolare (per quanto qui rileva), un trabattello destinato allo svolgimento dei lavori in quota. I lavori iniziarono al mattino seguente: i dipendenti Cos.m.i. montarono il trabattello che avrebbe consentito loro di raggiungere il punto nel quale la coclea inclinata doveva essere inserita nella parete del digestore; montarono le coclee a terra secondo i disegni che erano stati forniti loro dalla (Omissis) (in base ai quali tra la coclea verticale e quella inclinata doveva esservi un angolo di 45 gradi); provvidero poi ad imbragare le coclee e incaricarono il gruista del sollevamento. Un primo tentativo di inserimento ebbe esito negativo perchè l'apertura destinata a ricevere la coclea inclinata era ostruita da alcune tavole di legno, ma, dopo averle rimosse, ci si rese conto che c'era una differenza tra l'angolazione dell'apertura predisposta nella parete del digestore e l'angolazione del braccio inclinato della coclea, sicchè, per collocare l'apparecchiatura in posizione corretta, era necessario modificare l'angolazione tra la coclea verticale e quella inclinata. Per risolvere questo problema, G.G. decise di inserire la coclea verticale all'interno del trabattello che aveva in dotazione così da mantenerla parallela alla parete del digestore e poter regolare più facilmente l'angolo di inclinazione per far entrare la coclea obliqua nell'apertura cui era destinata. A tal fine il trabattello fu utilizzato come uno scheletro di sostegno e per questo, oltre che perchè lo spazio disponibile era limitato, fu privato di tutti i piani di calpestio. G.G. salì lungo i tubi del trabattello senza indossare alcuna imbragatura di sicurezza. Giunto in cima, chiese a H.H. di passargli una falsa squadra e la utilizzò per riprodurre l'angolo di inclinazione. Mentre compiva questa operazione, cadde dalla cima del trabattello e morì a causa dell'impatto al suolo.
Secondo il Tribunale, l'infortunio fu reso possibile dall'imprudente comportamento di G.G. che "scelse di salire a circa sette metri di altezza da terra senza dispositivi di protezione e utilizzando il trabattello senza piani di calpestio e senza piedini di appoggio".
Tenne, dunque, un comportamento abnorme, che attivò "un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia" e fu causa sopravvenuta da sola sufficiente ad evitare l'evento (pag. 15 della sentenza di primo grado).
La Corte di appello non ha condiviso tale valutazione. Ha osservato che i problemi verificatisi nella posa in opera delle coclee furono affrontati dai dipendenti Cos.m.i. con strumenti inidonei "a causa della sorprendente genericità" del Piano Operativo di Sicurezza predisposto da A.A. (pag. 13 della motivazione). La Corte territoriale ha sottolineato in proposito: che la soluzione di destinare il trabattello a scheletro di sostegno della coclea fu adottata "in assenza di differenti indicazioni operative del POS"; che il trabattello era privo di stabilizzatori; che, secondo quanto riferito dal teste H.H., "G.G. non indossava l'imbragatura, che pure aveva in dotazione, perchè di taglia troppo piccola per lui". Secondo la sentenza impugnata, i problemi che si verificarono non erano imprevedibili, atteso che si dovevano assemblare componenti edili e componenti meccaniche di un impianto in costruzione adattando i rispettivi angoli di inclinazione. Tuttavia, tale eventualità non era stata presa in considerazione dal POS, che non indicava come si sarebbe dovuto procedere se un simile inconveniente si fosse verificato. La scelta di utilizzare il trabattello come struttura di sostegno per mantenere in posizione la coclea verticale, dunque, fu resa possibile dalla mancata previsione di adeguate modalità operative e, una volta adottata questa scelta, per recarsi in quota, i dipendenti non potevano far altro che utilizzare il trabattello come una sorta di scala. A tal fine, infatti, G.G. e i suoi colleghi non avevano a disposizione altri strumenti, atteso che un carrello con cestello elevatore, presente in cantiere, non era nella disponibilità della Cos.m.i., ma era stato noleggiato da una ditta diversa che lo stava adoperando. In conclusione, secondo la Corte territoriale, il rischio conseguente alla necessità di adattare l'angolo di inclinazione tra le coclee all'angolo di inclinazione dell'apertura predisposta nella parete in cemento del digestore era un rischio proprio dell'attività che B.B. era stato chiamato a svolgere, e questo rischio non era stato efficacemente governato dal datore di lavoro il quale non aveva previsto come operare nell'eventualità - niente affatto remota - che tale adattamento fosse necessario nè aveva predisposto strumenti di lavoro idonei a fronteggiare le difficoltà conseguenti.
3. Contro la sentenza hanno proposto tempestivo ricorso, per mezzo dei rispettivi difensori: A.A. e la responsabile civile Cos.m.i. Srl I due ricorsi hanno contenuti sovrapponibili e, pertanto, possono essere illustrati congiuntamente, nei limiti strettamente necessari alla decisione come previsto dal D.Lgs. n. 28 luglio 1989, n. 271, art. 173, comma 1.
3.1. Col primo motivo dei rispettivi ricorsi, i difensori dei ricorrenti lamentano violazione dell'art. 591 c.p.p., lett. c) Sostengono che la Corte di appello non avrebbe dovuto procedere all'esame dell'impugnazione e neppure alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale perchè i motivi di appello proponevano una ricostruzione del compendio probatorio alternativa a quella fornita dal Tribunale, ma non contenevano una chiara e puntuale indicazione delle ragioni di fatto e di diritto che avrebbero potuto condurre ad una opposta decisione. I difensori osservano che la genericità dei motivi di appello trova conferma nella lettura della sentenza impugnata, dalla quale emerge (pag. 12) che, nel disporre la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ai sensi dell'art. 603 c.p.p., comma 3 bis, la Corte territoriale dovette operare d'ufficio, perchè gli appellanti non avevano formulato istanze istruttorie e non indicarono, nè nell'atto di appello nè in udienza, quali testimoni avevano fornito un apporto dichiarativo decisivo a sostegno delle argomentazioni svolte dalla sentenza gravata e quali testimoni sarebbe stato quindi necessario riesaminare ai fini dell'auspicato ribaltamento dell'esito processuale. In sintesi, i difensori dei ricorrenti sostengono che la genericità dell'atto di appello avrebbe dovuto essere sanzionata con la dichiarazione di inammissibilità e che tale inammissibilità, non rilevata dal giudice di appello, dovrebbe essere dichiarata in sede di legittimità.
3.2. Col secondo motivo dei rispettivi ricorsi, A.A. e la responsabile civile "Cos.m.i. Srl " lamentano manifesta illogicità della motivazione con la quale la Corte territoriale ha ritenuto esserci connessione causale tra la genericità del Piano Operativo di Sicurezza predisposto da A.A. riguardo alle procedure da seguire in caso di difficoltà nel montaggio delle coclee e la morte di G.G..
I difensori osservano che la Cos.m.i. Srl doveva operare in un cantiere nel quale era prevista la presenza di più imprese esecutrici sicchè, come previsto dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90, comma 4, la società committente ((Omissis) Biogas società agricola a r.l.) aveva provveduto alla nomina di un Coordinatore per l'esecuzione dei lavori (CSE) il quale, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 92, aveva, tra l'altro, il compito di accertarsi che, se necessario, le imprese esecutrici adeguassero i rispettivi piani operativi di sicurezza al piano di sicurezza e di coordinamento e applicassero correttamente le procedure di lavoro previste nel PSC. La difesa riferisce che - come accertato nel corso dell'istruttoria dibattimentale - il 5 dicembre 2012 la Cos.m.i. Srl , aveva inviato alla Sebigas Spa (affidataria dei lavori di impiantistica) il POS relativo alle attività che le erano state subappaltate, ma la Sebigas non lo trasmise al CSE nominato dal committente. Tale errore, accertato nel corso del giudizio, non era noto a A.A. il quale, pertanto, non aveva ragione di ritenere che il POS da lui predisposto non fosse stato visionato e approvato dal CSE. La difesa della responsabile civile Cos.m.i. Spa ha sviluppato tale argomentazione osservando che, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 97, la Sebigas aveva obblighi di coordinamento delle attività poste in essere da tutte le imprese che dovevano occuparsi della parte impiantistica, sicchè i dirigenti di questa società erano tenuti a verificare la congruenza dei piani operativi di sicurezza delle imprese esecutrici rispetto a quello predisposto dalla Sebigas e, dopo questa verifica, i Pos dovevano essere trasmessi al coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva. La difesa sottolinea che il Tribunale ha assolto il legale rappresentante della Sebigas, M.M., "per non aver commesso il fatto" perchè aveva nominato un responsabile del cantiere ("site manager") in persona dell'architetto N.N.. Secondo la difesa, tale formula assolutoria comporta che l'impresa affidataria dei lavori sia stata ritenuta inadempiente ai propri obblighi e, poichè l'assoluzione di M.M. non è stata impugnata, su questo punto si è formato giudicato. Nel valutare la rilevanza causale della ipotizzata genericità del POS predisposto dalla Cos.m.i., pertanto, la Corte territoriale avrebbe dovuto tenere conto di questo dato, che è stato invece pretermesso.
Al di là di ciò, i difensori dei ricorrenti contestano che il POS fosse generico. Osservano che quel documento (punto 4.2.) indicava chiaramente, tra le attività che i dipendenti Cos.m.i. dovevano compiere, "il sollevamento e il posizionamento" dei componenti dell'impianto (in questo caso le coclee) e individuava, quale modalità operativa, l'uso di un'autogrù da parte di un gruista specificamente formato e addestrato. Per espressa indicazione del POS, il percorso del materiale movimentato dalla gru non doveva "prevedere interferenze con strutture fisse o mobili" e la verifica che ciò avvenisse era affidata al preposto che, nel caso di specie, era proprio G.G.. I difensori rilevano, inoltre, che il POS prevedeva "l'uso del trabattello" per i lavori da svolgere in quota (tra i quali vi era il fissaggio delle coclee al digestore) e sottolineano che il trabattello fornito alla squadra che lavorava a (Omissis) era corredato di libretto di uso e manutenzione. Osservano, infine, che G.G. era formato e addestrato al ruolo di preposto, era abilitato all'uso di piattaforme mobili elevabili ed era operaio particolarmente esperto.
In sintesi, i ricorrenti sostengono che il POS rispondeva ai requisiti minimi previsti dal D.Lgs. n. 81 del 2008 e che il trabattello, se correttamente montato, avrebbe consentito di eseguire il lavoro in sicurezza. La motivazione della sentenza impugnata, dunque, sarebbe carente quando sostiene che il POS predisposto dalla Cos.m.i. Srl non era adeguato e attribuisce rilevanza causale a tale pretesa carenza.
3.3. Col terzo motivo, i ricorrenti lamentano vizi di motivazione per essere stata esclusa l'abnormità del comportamento di G.G. senza considerare che egli aveva compiti di preposto ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 19 sicchè nel cantiere di (Omissis) egli non aveva solo l'obbligo di procedere al montaggio delle coclee, ma anche quello di assicurarsi che quel lavoro fosse svolto in condizioni di sicurezza e di prevenire situazioni di pericolo per se stesso e per i componenti della squadra. I difensori sottolineano che G.G. si rese inadempiente ai propri obblighi; ed infatti, se ad infortunarsi fosse stato un altro componente della squadra, di un tale evento egli avrebbe potuto essere chiamato a rispondere. In altri termini, secondo i ricorrenti, la motivazione sarebbe carente perchè, nell'affrontare il tema dell'abnormità del comportamento dell'infortunato e nel valutare se il rischio attivato da quel comportamento fosse o meno esorbitante rispetto al rischio che il datore di lavoro doveva gestire, non considera che, nel caso di specie, a tenere il comportamento imprudente fu il preposto; vale a dire proprio il soggetto tenuto a vigilare, ex D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 19, sull'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, oltre che sull'uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale.
3.4. Col quarto motivo, i ricorrenti lamentano violazione di legge per non essere stato applicato l'art. 41 c.p., comma 2. Osservano che, come la sentenza impugnata riconosce, la necessità di adattare l'angolo di inclinazione tra le coclee all'angolo di inclinazione dell'apertura presente nella parete del digestore, rappresentò un imprevisto. Sottolineano che, proprio perchè imprevista, tale eventualità non poteva essere presa in considerazione nel Piano Operativo di Sicurezza. Secondo i difensori, a fronte di una tale imprevista difficoltà, era compito del preposto - che aveva le competenze tecniche per farlo - individuare una corretta procedura operativa tale da non creare situazioni di pericolo; e il comportamento di G.G. - che decise di procedere con modalità pericolose, di utilizzare il trabattello in modo improprio e di salirvi, pur in assenza di piani di calpestio, senza indossare la cintura di sicurezza - fu causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento. Si trattò, infatti, di un comportamento radicalmente e ontologicamente lontano dalle ipotizzabili (e quindi prevedibili) scelte non di un lavoratore qualsiasi, ma di un preposto alla sicurezza.
4. E' stato citato a comparire all'odierna udienza - e per questo è comparso il difensore della "A.r.c.e.m.i. Srl " che ha opportunamente fatto rilevare di non essere più parte del procedimento in ragione della definitiva assoluzione di F.F., all'epoca dei fatti legale rappresentante della società.
1. Nessuno dei motivi di ricorso merita accoglimento.
2. Col primo motivo, i ricorrenti si dolgono che la Corte territoriale abbia omesso di dichiarare l'inammissibilità dell'appello proposto dalle parti civili non ostante la genericità dei motivi di impugnazione.
Dalla lettura degli atti di appello - cui questa Corte ha accesso perchè giudice "del fatto" in relazione alla pretesa violazione di norme d'indole processuale (Sez. U., n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 20092) - emerge che le parti civili: avevano illustrato i rilievi critici sviluppati rispetto alle ragioni di fatto e di diritto poste alla base della decisione impugnata; avevano chiesto una nuova valutazione in sede di merito del fatto ascritto agli imputati; avevano contestato che il comportamento dell'infortunato potesse essere considerato abnorme e tale da attivare un rischio eccentrico o comunque esorbitante rispetto a quello che il datore di lavoro era tenuto a governare. Ne consegue che le doglianze proposte dai ricorrenti sono infondate.
Non rileva in contrario la constatazione che nell'atto di appello le parti civili non avessero indicato alla Corte territoriale le prove dichiarative la cui riassunzione poteva essere necessaria ai sensi dell'art. 603 c.p.p., comma 3 bis. A questo proposito si deve subito rilevare che la valutazione in ordine alla necessità di procedere alla rinnovazione dibattimentale e all'individuazione di quali, tra le prove dichiarative, debbano essere rinnovate è demandata al giudice di secondo grado e la circostanza che nell'atto di appello non siano state fornite indicazioni in tal senso non è prevista quale causa di inammissibilità del gravame.
A ciò deve aggiungersi che, nel caso di specie, pur proposte anche in punto di fatto, le censure sollevate dalle parti civili appellanti chiedevano soprattutto una diversa valutazione in diritto delle emergenze istruttorie e proprio sotto questo profilo sono state accolte. Dalla lettura della sentenza impugnata emerge che, nel ritenere la penale responsabilità di A.A., la Corte di appello non ha fornito una ricostruzione dei fatti diversa rispetto a quella contenuta nella sentenza di primo grado, ma ha tratto da quella stessa ricostruzione dei fatti e dal medesimo compendio probatorio conclusioni differenti in punto di diritto. A ben guardare, dunque, nel caso di specie, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale neppure sarebbe stata indispensabile ed è evidente allora che i motivi di appello non possono considerarsi generici solo perchè non l'hanno sollecitata (sull'argomento: Sez. 4, n. 31541 del 22/06/2023, Lazzari, Rv. 284860).
Come efficacemente chiarito dalle Sezioni unite nella sentenza n. 14426 del 28/1/2019, Pavan, Rv. 275112, (pag. 18 della motivazione), l'art. 603 c.p.p., comma 3 bis, "si limita a stabilire la modalità con la quale il giudice di appello può giungere ad una diversa valutazione della prova dichiarativa dalla quale consegua la riforma dell'assoluzione di primo grado: per il nuovo comma 3 bis, ciò che è essenziale è che il giudice d'appello, ove ritenga di dare una lettura diversa della suddetta prova, abbia l'obbligo (non più la facoltà) di rinnovare l'istruttoria perchè solo tale metodo è stato ritenuto idoneo a dissipare i dubbi e le incertezze insorti sulla colpevolezza dell'imputato: libero, poi, il giudice di appello, una volta rinnovata l'istruttoria, anche di andare in contrario avviso del giudice di primo grado e, quindi, di condannare l'imputato, fornendo una motivazione (rafforzata) che, ove sia congrua e coerente con la prova espletata, resta incensurabile in sede di legittimità". Si è chiarito a tal fine che la prova della quale la norma in esame impone la rinnovazione, "deve avere le seguenti caratteristiche: a) può avere ad oggetto sia dichiarazioni percettive che valutative, perchè la norma non consente interpretazioni restrittive di alcun genere; b) deve essere espletata a mezzo del linguaggio orale (testimonianza; esame delle parti; confronti; ricognizioni), perchè questo è l'unico mezzo che garantisce ed attua i principi di oralità ed immediatezza: di conseguenza, in essa non possono essere ricompresi quei mezzi di prova che si limitano a veicolare l'informazione nel processo attraverso scritti o altri documenti (Art. 234 c.p.p.); c) deve essere decisiva, essendo stata posta dal giudice di primo grado a fondamento dell'assoluzione; (...) d) di essa il giudice di appello deve dare una diversa valutazione" (pag. 19 della motivazione). Tale diversa valutazione, all'evidenza, non riguarda le conseguenze in diritto di quanto accertato attraverso la assunzione della prova dichiarativa, ma il contenuto dell'accertamento.
3. Col secondo motivo, i difensori di A.A. e della responsabile civile "Cos.m.i. Srl " sostengono che, quand'anche il POS predisposto da Cos.m.i. fosse stato inadeguato, la rilevanza causale di tale ipotizzata omissione sarebbe elisa dall'inadempimento degli obblighi previsti dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 97 da parte del datore di lavoro dell'impresa affidataria ("Sebigas s.p.a.").
Si sostiene che, se il responsabile di cantiere nominato dal legale rappresentante della Sebigas (si tratta dell'architetto N.N., mai neppure indagata nel procedimento) avesse adempiuto ai propri compiti, avrebbe operato in modo tale da rendere il POS della Cos.m.i. congruente con i POS predisposti dalle altre imprese operanti in subappalto. Avrebbe poi trasmesso i POS al Coordinatore per l'esecuzione il quale, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 92, ne avrebbe verificato la coerenza col Piano di Sicurezza e Coordinamento di cui all'art. 100 del citato decreto. In tesi difensiva, se queste disposizioni fossero state rispettate, l'evento non si sarebbe verificato. Vi sarebbe pertanto una condotta colposa, successiva rispetto a quella ascritta a A.A., idonea ad interrompere il nesso causale tra l'ipotizzata inadeguatezza del POS predisposto da Cos.m.i. e il verificarsi dell'evento.
L'argomento non ha pregio. E' consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale "in tema di reati omissivi colposi, se più sono i titolari della posizione di garanzia (nella specie, relativamente al rispetto della normativa antinfortunistica sui luoghi di lavoro), ciascuno è, per intero, destinatario dell'obbligo giuridico di impedire l'evento" (Sez. 4, n. 45369 del 25/11/2010, Osella, Rv. 249072; Sez. 4, n. 46849 del 03/11/2011, Di Carlantonio, Rv. 252149; Sez. 4, n. 1194 del 15/11/2013, dep. 2014, Braidotti, Rv. 258232).
A questo proposito si è opportunamente sottolineato che, quando l'obbligo di impedire l'evento ricade su più persone che debbano intervenire o intervengano in tempi diversi, il nesso di causalità tra la condotta omissiva o commissiva del titolare di una posizione di garanzia e l'evento non viene meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di un altro soggetto, parimenti destinatario dell'obbligo di impedimento, "configurandosi, in tale ipotesi, un concorso di cause ai sensi dell'art. 41 c.p., comma 1" (Sez. 4, n. 37992 del 11/07/2012, De Angelis, Rv. 254368; sull'argomento anche: Sez. 4, n. 17887 del 02/02/2022, Bello, Rv. 83208; Sez. 4, n. 928 del 28/09/2022, dep. 2023, Bocchio, Rv. 284086). Ed invero, "allorquando il decesso della vittima sia determinato dalla sommatoria delle condotte omissive ascrivibili a diversi garanti, intervenuti in tempi diversi, è configurabile il nesso causale tra l'evento letale e ciascuna delle riscontrate omissioni, essendo ognuna di esse essenziale alla sua produzione. (In motivazione la S.C. ha affermato che la causalità additiva o cumulativa costituisce applicazione della teoria condizionalistica di cui all'art. 41 c.p., giacchè, essendo ciascuna omissione essenziale alla produzione dell'evento, l'eliminazione mentale di ciascuna di esse fa venir meno l'esito letale, tenuto conto dell'insufficienza di ognuna delle altre omissioni a determinarlo)" (Sez. 4, n. 24455 del 22/04/2015, Plataroti, Rv. 263733).
4. I ricorrenti sostengono che il POS predisposto da A.A. per la Cos.m.i. non era generico e sottolineano che quel documento prendeva in considerazione le attività di sollevamento e posizionamento e stabiliva che quelle attività dovessero svolgersi facendo uso di una autogrù manovrata da un gruista specificamente formato e addestrato. Ricordano che infatti, nel caso in esame, per consentire il sollevamento e il posizionamento delle coclee era stata noleggiata una gru manovrata da un gruista esperto, quale era L.L.. Per recarsi in quota, inoltre, i dipendenti della Cos.m.i. avevano a disposizione un trabattello corredato del libretto di uso e manutenzione e fu proprio G.G., nella qualità di caposquadra, a decidere di utilizzare quella struttura in modo improprio quale scheletro di sostegno della coclea verticale.
Secondo la Corte territoriale il POS predisposto da Cos.m.i. non era conforme alle previsioni del D.Lgs. n. 81 del 2008 perchè non conteneva specifici riferimenti all'attività che doveva essere svolta nel cantiere di (Omissis) (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 89, comma 1 lett. h) e non era conforme alle indicazioni dell'allegato XV del citato decreto. Non conteneva, infatti, l'indicazione delle prescrizioni operative cui i dipendenti avrebbero dovuto attenersi nel caso in cui si fossero verificati problemi nell'inserimento della coclea obliqua nella parete del digestore.
A questo proposito la sentenza impugnata osserva (pag. 19) che "l'eventualità di dover regolare l'angolazione delle coclee per poter inserire quella obliqua nel foro della parete del digestore non era frequente, ma neppure eccentrica rispetto al lavoro che Cos.m.i. doveva svolgere, essendo le coclee un manufatto di precisione che doveva essere inserito in un manufatto di muratura di enormi dimensioni, inevitabilmente non altrettanto preciso quanto a misure da rispettare" Sottolinea, inoltre (pag. 15), che il carattere non imprevedibile di una tale evenienza è emerso anche nell'istruttoria dibattimentale atteso che - come ha riconosciuto anche l'Ing. O.O., consulente tecnico di (Omissis) - "quando si mettono insieme dei componenti edili e dei componenti meccanici" la maggior grossolanità dei primi rispetto ai secondi può determinare il sorgere di difficoltà di montaggio. Ricorda infine (pag. 16) che secondo I.I., componente della squadra preposta al montaggio, "sebbene non fosse frequente che l'inclinazione della coclea non fosse corretta, perchè di regola il foro era di maggiori dimensioni e consentiva comunque l'inserimento della coclea obliqua, lui e i suoi colleghi sapevano quello che dovevano fare, cioè salire e misurare l'angolo".
La Corte territoriale ha ritenuto, dunque, che il problema verificatosi non fosse imprevedibile nè imprevisto e che, per risolverlo, fosse necessario misurare l'angolo presente nella struttura in cemento e "riportarlo" sulla componente meccanica, adattando ad esso l'inclinazione tra le coclee. Ha sottolineato che il POS della Cos.m.i. Srl non conteneva le prescrizioni operative cui i dipendenti avrebbero dovuto attenersi nel caso in cui una tale difficoltà - non frequente, ma neppure remota e imprevedibile - si fosse verificata.
La motivazione è congrua, non presenta profili di contraddittorietà o manifesta illogicità e tiene conto delle indicazioni di legge. Il cantiere di (Omissis), infatti, era soggetto alle previsioni del titolo IV del D.Lgs. n. 81 del 2008 e, ai sensi dell'art. 96, comma 1, lett. h) del citato decreto, "i datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici devono redigere il piano operativo di sicurezza di cui all'art. 89, comma 1 lett. h). Questa disposizione prevede che il POS sia predisposto "in riferimento al singolo cantiere interessato, ai sensi dell'art. 17, comma 1, lett. a), i cui contenuti sono riportati nell'allegato XV" e l'allegato XV prevede: al punto 3.2.1. lett. c), che il POS di ciascuna impresa debba contenere la descrizione delle "modalità organizzative" delle attività di cantiere; al punto 3.2.1. lett. g), che nel POS debbano essere individuate misure preventive e protettive, integrative rispetto a quelle contenute nel PSC, "in relazione ai rischi connessi" alle lavorazioni proprie della singola impresa.
4.1. A differenza di quanto sostenuto dai ricorrenti, peraltro, l'inadeguatezza del POS non è l'unico profilo di colpa che la sentenza impugnata ha individuato a carico dell'imputato. A pag. 18 della sentenza i giudici di appello hanno sottolineato che il trabattello era privo di stabilizzatori e di questo i ricorsi non si occupano perchè si limitano a sottolineare che quel trabattello (di proprietà della Cos.m.i. Srl ) era corredato di libretto di uso e manutenzione e fu G.G. a decidere di privarlo dei piani di calpestio per utilizzarlo come scheletro di sostegno della coclea verticale ed evitare che la stessa, tenuta in posizione soltanto dalla gru, potesse oscillare. A pag. 19 della sentenza, inoltre, la Corte territoriale riferisce che, secondo quanto riferito dal teste H.H. (dipendente della Cos.m.i. e componente della squadra incaricata del montaggio delle coclee) G.G. si arrampicò sul trabattello senza indossare la cintura di sicurezza che aveva in dotazione "perchè di taglia troppo piccola per lui". Si deve ricordare, allora, che, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 75, i dispositivi di protezione individuale (DPI) devono "tenere conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore" e "poter essere adattati all'utilizzatore secondo le sue necessità".
5. Col terzo motivo, i ricorrenti rilevano che G.G. aveva compiti di preposto ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 19 aveva quindi l'obbligo di assicurarsi che il lavoro fosse svolto in condizioni di sicurezza e di prevenire situazioni di pericolo per se stesso e per i componenti della squadra. I difensori si dolgono che la Corte territoriale non abbia tenuto conto di questo ed abbia ritenuto il suo comportamento non abnorme.
Ai sensi dell'art. 19, comma 1, lett. t), D.Lgs. cit., il preposto deve segnalare tempestivamente al datore di lavoro sia le deficienze dei mezzi, delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro. Quale preposto, dunque, G.G. era garante dell'incolumità delle persone che lavoravano con lui. Tale posizione di garanzia, però, non faceva certo venire meno la contestuale posizione di garanzia del datore di lavoro. L'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica, infatti, è addebitabile ad ognuno di coloro cui il D.Lgs. n. 81 del 2008 attribuisce una posizione di garanzia, perchè ciascuno dei titolari è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che lo ha costituito come garante (fra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253850; Sez. 4, n. 6507 del 11/01/2018, Caputo, Rv. 272464). Ne consegue che, se G.G. aveva assunto una posizione di garanzia nei confronti di H.H. e I.I., componenti della squadra da lui diretta, A.A., quale datore di lavoro, aveva una posizione di garanzia sia nei confronti di G.G. che nei confronti di H.H. e I.I. e, come la sentenza impugnata chiarisce, non adempì con la dovuta diligenza agli obblighi conseguenti, perchè non predispose un piano operativo di sicurezza che tenesse conto delle difficoltà che potevano verificarsi nella installazione delle coclee, ma affidò a G.G. e alla sua esperienza il compito di "immaginare quale fosse la (procedura) più adeguata, considerati, da un lato, lo stato dei luoghi (...) e, dall'altro, il tipo di problematica emersa" (pag. 20 della sentenza).
Secondo la Corte territoriale, per assolvere a questo compito G.G. dovette improvvisare perchè non aveva ricevuto istruzioni in proposito. A.A., però, non poteva fare affidamento sull'esperienza del capo squadra perchè non aveva valutato il rischio connesso alla necessità di modificare l'inclinazione delle coclee, non aveva previsto quali modalità operative avrebbero dovuto essere seguite in questi casi e, di conseguenza, non si era neppure assicurato che i lavoratori avessero a disposizione attrezzature idonee allo scopo. Il principio di affidamento non può essere invocato, infatti, "da parte di chi sia già in colpa per avere violato norme precauzionali o avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che colui che gli succede nella posizione di garanzia elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione, in quanto la seconda condotta non si configura come fatto eccezionale sopravvenuto, da solo sufficiente a produrre l'evento" (Sez. 4, n. 35827 del 27/06/2013, Zanon, Rv. 258124).
A questo proposito, la sentenza impugnata osserva: che G.G. e i suoi colleghi non avevano a disposizione nessuno strumento per tenere in posizione la coclea verticale se non il trabattello; che il trabattello fu utilizzato per finalità diverse da quelle cui sarebbe stato destinato e per questo fu privato dei piani di calpestio; che i lavoratori non avevano a disposizione per recarsi in quota (ciò che era necessario per misurare l'angolazione che doveva essere data alla coclea obliqua) nessun'altra attrezzatura perchè in cantiere c'era un elevatore a cestello, ma era stato noleggiato da una ditta diversa i cui dipendenti lo stavano adoperando.
6. Giungendo a conclusioni opposte rispetto a quelle cui era pervenuto il giudice di primo grado, la Corte di appello ha sostenuto che il comportamento di B.B. non fu abnorme perchè fu determinato da una carenza strutturale del POS, che non aveva indicato le modalità operative da seguire nel caso in cui si fossero presentati problemi nel montaggio delle coclee. Per questo, i lavoratori non avevano a disposizione attrezzature idonee a risolvere quel problema in condizioni di sicurezza. La motivazione è completa, non è contraddittoria, non è certo illogica ed è conforme ai principi di diritto che regolano la materia. Si rammenta in proposito che, per giurisprudenza costante, un comportamento, anche avventato, del lavoratore, se realizzato mentre egli è dedito al lavoro affidatogli, può essere invocato come imprevedibile o abnorme solo se il datore di lavoro ha adempiuto tutti gli obblighi che gli sono imposti in materia di sicurezza sul lavoro (Sez. 4, n. 12115 del 03/06/1999, Grande A., Rv. 214999; Sez. 4, n. 1588 del 10/10/2001, Russello, Rv. 220651; Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne, Rv. 259227; Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015, Guida, Rv. 263386). A questo proposito, la giurisprudenza più recente ha opportunamente sottolineato che "in tema di prevenzione antinfortunistica, perchè la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia" (Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Cimolai, Rv. 284237; Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748; Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914). Ponendosi in questa prospettiva, si è affermato che il comportamento negligente, imprudente e imperito tenuto dal lavoratore nello svolgimento delle mansioni a lui affidate può costituire concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, solo se questi "ha posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel Pos e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato)" (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242).
6.1. Nel caso di specie, non v'è dubbio - neppure la difesa lo contesta - che l'attività svolta al momento dell'infortunio rientrasse tra le mansioni cui i lavoratori erano stati destinati. La Corte territoriale ha sottolineato: che la squadra composta da G.G., H.H. e I.I. era stata inviata a (Omissis) proprio per procedere al montaggio delle coclee e quel lavoro prevedeva di portarsi in quota, sia per inserire la coclea inclinata nell'apertura predisposta sulla parete del digestore, sia per eseguire operazioni di bullonatura (pag. 19 della sentenza impugnata).
I giudici di appello hanno chiarito, inoltre, (e la motivazione non presenta alcun profilo di illogicità o contraddittorietà) che non era affatto imprevedibile (perchè era non solo possibile, ma perfino probabile) che l'angolo di inclinazione tra le due coclee dovesse essere adattato all'angolo di inclinazione del foro predisposto nella parete del digestore e, tuttavia, questo specifico rischio non fu valutato, sicchè l'imprudenza di G.G., che utilizzò "in modo improprio e pericoloso l'unico strumento che Cos.m.i. aveva messo a disposizione" (così testualmente pag. 16), non è idonea ad escludere il nesso di causalità tra le condotte omissive ascritte all'imputato e l'evento lesivo.
7. La sentenza impugnata sottolinea che, per movimentare e mettere in posizione le due coclee tra loro collegate era stata prevista una gru con imbragatura, ma per poter adattare l'angolo di inclinazione tra le due coclee alle caratteristiche della struttura in cemento, era necessario tenere ferma la coclea verticale la quale, invece, essendo appesa alla gru, oscillava. Sostiene che il datore di lavoro avrebbe dovuto valutare questo specifico rischio, ma non lo fece e non fornì gli operai di strumenti adeguati a superare in sicurezza il problema. Pertanto, la decisione assunta non è censurabile nè sotto il profilo dell'identificazione del rischio concretizzatosi, nè per quanto riguarda le regole cautelari applicabili.
Neppure è censurabile, perchè coerente con le emergenze istruttorie, l'identificazione della condotta alternativa doverosa, individuata nella predisposizione di adeguate procedure operative e gatta messa a disposizione di attrezzature idonee ad attuarle in condizioni di sicurezza, oltre che nella predisposizione di DPI adeguati alla corporatura dell'utilizzatore.
8. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in solido, alla rifusione delle spese sostenute per questo grado di giudizio dalle parti civili E.E., C.C., D.D. e B.B., che si liquidano come da dispositivo.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione in solido delle spese sostenute nel presente grado di legittimità dalle parti civili C.C., D.D., E.E. e B.B. che liquida in Euro 5.700,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2023