L’infortunio sul lavoro in itinere si verifica quando il lavoratore subisce un incidente durante il percorso da casa al lavoro e viceversa. Ma non solo.
Viene altresì considerato infortunio sul lavoro in itinere allorquando il lavoratore deve recarsi in un altro luogo dello stesso datore di lavoro, quindi tra i due luoghi di lavoro dello stesso imprenditore, così quando in mancanza di un servizio di mensa aziendale deve raggiungere l’abituale luogo per la consumazione del pasto.
La norma di riferimento dell’infortunio sul lavoro in itinere è l’art. 12 D.lgs. 38/2000 che ha disposto l'aggiunta di un ulteriore comma agli artt. 2 e 210 del D.P.R. 1124/1965 . Viene previsto quindi che:
"Salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l'assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. ..."
La norma precisa ulteriormente che l’eventuale interruzione e deviazione del percorso deve essere dovuta a cause di forza maggiore o ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti.
In tutti questi casi l’incidente viene equiparato all’infortunio avvenuto all’interno dell’azienda e risarcito come normale infortunio sul lavoro, ricevendo così il lavoratore la prevista indennità dall’Inail, proporzionata al danno subito.
Il normale percorso di andata e ritorno da casa al di lavoro è quello più breve ad eccezione che sussista una ragionevole giustificazione che comporti una modifica del normale percorso come può essere la presenza di cantieri stradali o un intenso traffico; con la conseguenza che una deviazione del percorso non necessitato impedisce di qualificare l’infortunio sul lavoro in itinere.
La Suprema Corte (Cassazione Civile, Sez. Lav., 20 ottobre 2014, n. 22154) ha precisato che in tema di infortunio sul lavoro in itinere, occorre, per il verificarsi dell’estensione della copertura assicurativa, che il comportamento del lavoratore sia giustificato da un’esigenza funzionale alla prestazione lavorativa, tale da legarla indissolubilmente all’attività di locomozione, posto che il suddetto infortunio merita tutela nei limiti in cui l’assicurato non abbia aggravato, per suoi particolari motivi o esigenze personali, la condotta extralavorativa connessa alla prestazione per ragioni di tempo e di luogo, interrompendo così il collegamento che giustificava la copertura assicurativa.
E dunque per il riconoscimento di un infortunio sul lavoro in itinere occorre “che esso si verifichi nel tragitto tra l’abitazione e il luogo di lavoro, e che il percorso venga effettuato a piedi o con mezzo pubblico di trasporto, ovvero con mezzo privato se necessitato”.
Se l’infortunio sul lavoro in itinere si verifica con l’utilizzo dell’auto del lavoratore è possibile che l’Inail eccepisca che non v'era la necessità di usare l’autovettura, ma si sarebbe potuto utilizzare il trasporto pubblico (treno, autobus, ecc.).
Tra i motivi che consentono di considerare l’incidente come infortunio sul lavoro in itinere deve rappresentarsi la concreta esigenza di avvalersi della propria auto e non che si tratti di una scelta fatta solo per avere una maggiore comodità.
Va però detto che l’orientamento della Suprema Corte è alquanto elastico: ovvero, se il luogo di lavoro non è ben collegato con l’autobus e, quindi, necessita di un rilevante tempo di viaggio con i mezzi pubblici si può optare per l’uso dell’autovettura privata.
I giudici di Piazza Cavour (Cassazione Civile, Sez. Lav., 13 aprile 2016, n. 7313), pronunciandosi sulla corretta interpretazione dell’ art. 12 del d.lgs.38/2000 riconoscono che secondo la disciplina in vigore in materia di infortunio sul lavoro in itinere “ anche l'uso del mezzo proprio (senza altra connessione funzionale con l'attività lavorativa assicurata) non è di ostacolo all’ indennizzabilità, ma permane la condizione, già dettata dalla giurisprudenza, che l'uso sia “necessitato” ovvero che non sussista altra agevole e meno rischiosa soluzione (in particolare attraverso l'utilizzo di mezzi pubblici che comporta un minore grado di esposizione al rischio della strada).”
Precisa, però, ulteriormente che “ deve peraltro riconoscersi che il requisito della necessità in discorso non deve essere inteso in senso assoluto, essendo sufficiente una necessità relativa; ossia emergente anche attraverso i molteplici fattori, non definibili in astratto, che condizionano la scelta del mezzo privato rispetto a quello pubblico (esigenze personali e familiari, altri interessi meritevoli di tutela).”
Si considerano, poi, necessitate le deviazioni, interruzioni o sospensioni disposte dal lavoro (ad esempio, passare in un ufficio postale per adempimenti aziendali). Non vengono poi ritenute interruzioni le brevi soste (come per espletare esigenze fisiologiche) che non aggravano l’esposizione al rischio.
Inoltre, l’incidente deve verificarsi su una strada pubblica e su private aperte al transito dei veicoli atteso che secondo l’indirizzo della giurisprudenza (Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 16/07/2007, n. 15777) restano esclusi dall’ indennizzo tutti gli eventi che si verificano in luoghi di esclusiva proprietà del lavoratore assicurato o in quelli di proprietà comune, quali le scale e i cortili condominiali, il portone di casa o i viali di complessi residenziali con le relative componenti strutturali.
In conclusione, la norma richiede che l’uso del veicolo privato sia «necessitato» dalle circostanze.
Interessante la circolare suindicata che riassume brevemente la disciplina giuridica dell’infortunio sul lavoro in itinere anche con specifico riferimento alle ipotesi in cui l’evento si verifichi a bordo del velocipede.
All’articolo 2, terzo comma, del testo unico di cui al d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, dopo il terzo periodo è stato difatti inserito il seguente: “ L’uso del velocipede, come definito ai sensi dell’articolo 50 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, deve, per i positivi riflessi ambientali, intendersi sempre necessitato”.
Con detta norma si è sancito espressamente che, a prescindere dal tratto stradale in cui l’evento si verifica, l’infortunio in itinere occorso a bordo di un velocipede deve essere, al ricorrere di tutti i presupposti stabiliti dalla legge per la generalità degli infortuni sul lavoro in itinere, sempre ammesso all’indennizzo.
Ma nel ribadire che le disposizioni impartite in materia di infortunio sul lavoro in itinere devono continuare ad essere osservate in termini generali anche con riferimento all’uso del velocipede, riassume brevemente il concetto di “Normalità del percorso”; di “Interruzioni o deviazioni del percorso”; di “Utilizzo del mezzo di trasporto privato”.
Infine, precisa la circolare, resta invece confermato che riguardo all’infortunio accaduto per colpa del lavoratore, gli aspetti soggettivi della condotta dell’assicurato (negligenza, imprudenza, imperizia, violazione di norme) non assumono rilevanza ai fini dell’indennizzabilità, in quanto la colpa del lavoratore non interrompe il nesso causale tra rischio lavorativo e sinistro, salvo che si tratti di comportamenti così abnormi da sfociare nel rischio elettivo, come nel caso in cui l’incidente si sia verificato per aver il lavoratore imboccato una strada interdetta alla circolazione del velocipede o essersi messo alla guida in stato di ubriachezza.
La Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. Lav., 8 novembre 2021 n.32473) ha acclarato che non può considerarsi infortunio sul lavoro in itinere quello subito dalla lavoratrice durante la pausa caffè al di fuori dell'ufficio giudiziario ove prestava la propria attività e lungo il percorso seguito per andare al bar a prendere un caffè.
La lavoratrice, allontanandosi dall'ufficio per raggiungere un vicino pubblico esercizio (il bar all’interno dell’ufficio giudiziario era chiuso), si era così volontariamente esposta ad un rischio non necessariamente connesso all'attività lavorativa per il soddisfacimento di un bisogno certamente procrastinabile e non impellente, interrompendo così la necessaria connessione causale tra attività lavorativa ed incidente.
Il rischio elettivo, che esclude l’occasione di lavoro, consiste difatti in quella condotta del lavoratore al di fuori dall’esercizio della prestazione lavorativa, tenuta volontariamente in base a ragioni e motivazioni del tutto personali, tale da interrompere il nesso causale tra prestazione ed attività assicurata.
La questione di diritto che si è posta la Suprema Corte è quella della corretta interpretazione dell'art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965, secondo la quale l'assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro.
Tuttavia, nella fattispecie a suo esame, ha ritenuto non possa essere ricondotta alla "occasione di lavoro", trattandosi di attività, non intrinsecamente lavorativa e non coincidente per modalità di tempo o di luogo con le prestazioni dovute, che non sia richiesta dalle modalità di esecuzione imposte dal datore di lavoro o in ogni caso da circostanze di tempo e di luogo che prescindano dalla volontà di scelta del lavoratore.
Anche se è doveroso ricordare che la legge non prevede specificamente la pausa caffè, ma prevede una pausa giornaliera, che può essere, comunque, utilizzata anche per prendere il caffè, riteniamo possa quanto meno ritenersi opinabile che, nella fattispecie, si sia trattato di una scelta arbitraria del lavoratore.
Viene da riflettere sul punto se si considera che sempre la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 15973 del 18 luglio 2007, ha dettato un vero e proprio Abc delle pause tollerate, quelle, cioè, che obbligano il datore e l’Inail a risarcire il dipendente in caso di infortunio sul lavoro “in itinere” puntualizzando che le soste voluttuarie di pochi minuti non escludono la tutela dell’infortunio in itinere.
Ogni fattispecie è ovviamente un caso a sé stante.