Il danno parentale nell’infortunio mortale sul lavoro, o meglio da perdita del rapporto parentale, è quel tipo di danno che subiscono i congiunti del lavoratore a seguito del suo decesso. Si parla in proposito di danno non patrimoniale cd. da perdita del rapporto parentale.
Questo danno si materializza a seguito della definitiva assenza del deceduto, ossia con il vuoto che si avverte dal non potere più gioire della sua presenza e del rapporto con questi e, quindi, nella definitiva mancanza di quella affettività, della condivisione quotidiana dei rapporti, ad esempio, tra coniugi, tra figlio e genitori, tra fratelli, ecc..
Il danno parentale nell’infortunio mortale sul lavoro (o comunque conseguenza di qualunque fatto illecito) è quindi l’insieme di quelle conseguenze dannose di natura non patrimoniale che sono conseguenza della definitiva cancellazione di una relazione personale caratterizzata dalla particolare pregnanza emotiva e implicazione affettiva, come, ad esempio, dicevamo, nel rapporto tra genitore e figlio.
Esso è destinato a tradursi, sul piano dei pregiudizi alla persona, nella duplice dimensione del c.d. danno morale ossia della sofferenza puramente interiore patita per la perdita affettiva riscontrabile sul piano dell'afflizione e della compromissione dell'ordinario equilibrio emotivo - e, sotto altro profilo, del danno rappresentato dalla modificazione delle attività della vita quotidiana e degli eventuali aspetti dinamico-relazionali in conseguenza di tale perdita affettiva.
Così una recente sentenza della Suprema Corte (Cass. civ., Sez. III, Ord., 28/03/2022, n.9857)
Va comunque precisato che il danno morale da perdita del rapporto parentale, quale sofferenza soggettiva, turbamento d’animo, quale dolore intimo sofferto dagli eredi della vittima dell’infortunio mortale sul lavoro, non si configura come danno biologico atteso che non si lamentano degenerazioni patologiche della sofferenza e non necessita di un accertamento medico legale.
Il danno da perdita del rapporto parentale nell’infortunio mortale sul lavoro è ontologicamente diverso da quello che consegue alla lesione dell'integrità psicofisica e si collega alla violazione di un diritto di rilevanza costituzionale diverso dal diritto alla salute tutelato dall'art. 32 Cost..
Più precisamente il danno non patrimoniale iure proprio è ritenuto risarcibile sia come danno morale e da perdita del rapporto parentale, sia come danno biologico di tipo psichico che, a differenza del primo, deve essere provato sotto il profilo medico-legale.
Dal danno parentale nell’infortunio mortale sul lavoro si distingue, sempre però quale danno patrimoniale:
- il danno non patrimoniale biologico iure hereditatis, risarcibile nel solo caso in cui la morte sia intervenuta dopo un apprezzabile lasso di tempo, in modo tale che vi sia stata un'effettiva compromissione dell'integrità psicofisica del soggetto leso e non quando il decesso sia avvenuto immediatamente o comunque a breve distanza dall'evento;
- il danno non patrimoniale morale iure hereditatis (definito danno biologico “terminale” o anche “catastrofale”), risarcibile unicamente quando sia emersa la prova che il lavoratore deceduto sia stato in condizione di percepire il proprio stato, abbia cioè avuto l'angosciosa consapevolezza della fine imminente, la lucida agonia (formido mortis), mentre va esclusa, ad esempio, quando all'evento lesivo sia conseguito immediatamente il coma e comunque il danneggiato non sia rimasto lucido nella fase che precede il decesso (Cass. civ. Sez. III, 05-05-2021, n. 11719)
Il danno parentale nell’infortunio mortale sul lavoro si colloca al di fuori della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, fuori dall'ambito di applicabilità dell’art. 13 del d.lgs. n. 38/00.
Il danno biologico, difatti, è stato attratto all'interno dell'oggetto dell'assicurazione solo con riferimento alla prestazione dell'assicurato, lasciando all'area esterna del diritto civile la tutela dei diritti risarcitori degli eredi (Cass. Civ., Sez. III, Sent., 12 ottobre 2017, n. 23963).
In relazione agli eredi, la rendita a favore dei superstiti in caso di morte del lavoratore assicurato costituisce risarcimento del danno patrimoniale subito in dipendenza della morte del congiunto, del quale i beneficiari sono titolari in base ad un proprio diritto, spettante esattamente per la loro qualità di assistiti.
In definitiva, secondo l'interpretazione sistematica dell’art. 13 d.lgs. N. 38/00, in caso di decesso del lavoratore per infortunio sul lavoro, il danno non patrimoniale subito dall'erede per la perdita del rapporto parentale, non trova alcuna collocazione all'interno della rendita erogata dall'INAIL, trovando perciò applicazione gli istituti codicistici in materia di responsabilità civile (Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., 10/03/2017, n. 6306).
La prestazione indennitaria risponde infatti a obiettivi di solidarietà sociale cui ha riguardo l’art. 38 Cost., mentre il rimedio risarcitorio, a presidio dei valori della persona, si innesta sull’art. 32 Cost.
Pertanto, in ragione di ciò vi sono voci di danno escluse dalla copertura assicurativa INAIL, quale appunto il danno da perdita del rapporto parentale in quanto la nozione di danno biologico recepita dalle disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni impedisce di considerare come tale il danno da perdita della vita.
Pertanto, poiché l’indennità INAIL, in considerazione della sua natura assistenziale, non copre esattamente l’intero danno alla salute, il lavoratore ha diritto, ricorrendo i presupposti dell’art. 10 TU 1124/1965, ad agire contro il datore di lavoro per il ristoro di quella parte di danno che non è coperta dall’assicurazione obbligatoria.
Ha recentemente acclarato la Suprema Corte (Cass. civ., Sez. VI, Sent., 30/03/2022, n. 10165) che la domanda di risarcimento del danno proposta dai prossimi congiunti del lavoratore vittima di un infortunio mortale ha natura aquiliana e non contrattuale, con la conseguenza che l'onere di provare la condotta illecita, la natura colposa di essa, il nesso causale e il danno grava sugli attori.
Il prossimo congiunto, ai fini del riconoscimento del danno parentale nell’infortunio mortale sul lavoro, deve dimostrare la concreta esistenza di un rapporto affettivo con il lavoratore deceduto, nonché la stabilità del rapporto, oltre alla lesione subita a seguito dell’evento lesivo.
Il danno in esame non può mai essere ritenuto sussistente in re ipsa o sulla base del notorio ma deve essere allegato e specificamente provato da parte del danneggiato, ai sensi dell'art. 2697 c.c..
La prova può essere fornita attraverso presunzioni - che, anzi, nel caso di danno parentale nell’infortunio mortale sul lavoro assume particolare rilievo e può costituire anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice (Cass. civ., sez. Unite, 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975) - cosicché dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti si possa, attraverso un prudente apprezzamento, risalire coerentemente al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno (Cass. civ., sez. III, 14 giugno 2016, n. 12146; Cass. civ., sez. III, 11 luglio 2017, n. 17058; Cass. civ., sez. III, ord. 17 gennaio 2018, n. 907).
Il risarcimento del danno da rapporto parentale nell’infortunio mortale sul lavoro ((o comunque conseguenza di qualunque fatto illecito) ) è rimesso ad una valutazione equitativa, secondo criteri che devono tener conto dell’effettiva incidenza della menomazione subita concretamente dai congiunti.
Il giudice è tenuto a valutare, in relazione al caso concreto, l’intensità del vincolo familiare, la gravità del fatto, l’entità del dolore patito, le condizioni soggettive della persona, il turbamento dello stato d’animo, l’età della vittima e dei congiunti all’epoca del fatto, il grado di sensibilità dei danneggiati superstiti, la situazione di convivenza o meno con il lavoratore deceduto.
In tema di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, attualmente molti Tribunali italiani fanno ricorso all’applicazione di due “tabelle” elaborate, rispettivamente, dal Tribunale di Roma e di Milano.
Il dualismo tra le tabelle del Tribunale di Milano e quello di Roma è sempre vivo ed attuale.
Sinteticamente ricordiamo che con le note sentenze gemelle di “San Martino” (Cass. 11.11.2008 nn. 26972 – 26975), le tabelle di Milano edizione 2009 a cui la sentenza “Amatucci” (Cass. Sent. n. 12408/2011), aveva riconosciuto valore para-normativo, sono state ampiamente utilizzate sia nelle corti di merito quanto nelle trattative stragiudiziali, in attesa che il governo, in attuazione dell’art. 138 del codice delle assicurazioni (D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209) emanasse i criteri oggettivi per la stima del danno permanente “non lieve” (postumi permanenti superiori al 10%) e tabelle del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità.
Con la suddetta sentenza “Amatucci” (Cass. Civ. Sez. III, Sent., 07/06/2021, n. 12408), ritenuto che sul piano dei valori tabellari di punto si registrano divergenze assai accentuate che di fatto danno luogo ad una giurisprudenza per zone, difficilmente compatibile con l'idea stessa dell'equità, la Suprema Corte, nel prendere atto che si tratta di un fenomeno che, incidendo sui fondamentali diritti della persona, vulnera elementari principi di eguaglianza, mina la fiducia dei cittadini nell'amministrazione della giustizia, lede la certezza del diritto, ecc., ha acclarato il seguente principio di diritto:
“ b) poichè l'equità va intesa anche come parità di trattamento, la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell'integrità psico-fisica presuppone l'adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative (come l'art. 139 del codice delle assicurazioni private, per le lesioni di lieve entità conseguenti alla sola circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto".
Tuttavia, recenti sentenze della Suprema Corte (Cass. Civ. 21 aprile 2021, n. 10579 e Cass. civ.,10-11-2021, n. 33005) hanno messo in parziale discussione il valore “para-normativo” delle tabelle del Tribunale di Milano, ritenendo più congruo il sistema di liquidazione “a punti” elaborato dal Tribunale di Roma.
Ma la VI Sez. Della Suprema Corte, con ordinanza del 23/06/2022 n. 20292, nel dare continuità a quanto affermato da Cass. n. 33005 del 2021, secondo cui "ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale mediante il criterio tabellare il danneggiato ha esclusivamente l'onere di fare istanza di applicazione del detto criterio, spettando poi al giudice di merito di liquidare il danno non patrimoniale mediante la tabella conforme a diritto;" ha chiarito il seguente principio:
“al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti ... con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella".
Va da sé che, secondo l’orientamento della Suprema Corte suindicato non potevano applicarsi le Tabelle del Tribunale di Milano in relazione alla liquidazione del danno parentale atteso che non era previsto un sistema a punti.
Ma tale impedimento risulta essere superato con la recente pubblicazione delle Nuove Tabelle del Tribunale di Milano del 29/6/2002 che sono state adeguate, nella materia del danno parentale, ai nuovi principi di diritto affermati dalla giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione tant’è che ci appare interessante richiamare sul punto la recentissima pronuncia della Corte d’Appello di Bari, Sez. II, Sent., 18/08/2022, n. 1252 che richiama l’altrettanto recente sentenza del Trib. Milano, Sez. X, 11 luglio 2022, n. 6059, secondo cui:
"In tema di danno parentale, le nuove tabelle di Milano integrate a punti (edizione 2022) prevedono un punteggio per ognuno dei seguenti parametri, corrispondenti all'età della vittima primaria e della vittima secondaria, alla convivenza tra le due, alla sopravvivenza di altri congiunti, alla qualità e intensità della specifica relazione affettiva perduta. … Le nuove tabelle integrate a punti elaborate dall'Osservatorio di Milano sono coerenti con i principi di diritto enunciati nella sentenza Cass. n. 10579/2021 e possono essere utilizzate dal giudice per determinare una liquidazione equa, uniforme e prevedibile del danno da perdita del rapporto parentale".