Gli infortuni sul lavoro richiamati da recentissime sentenze della quarta sezione della Suprema Corte affrontano alcune tematiche con riferimento alle prescrizioni riguardanti gli obblighi dei titolari di posizioni di garanzie o gestorie negli infortuni sul lavoro, avuto riguardo alle specifiche situazioni in cui si verificano e alla valutazione della normativa di riferimento.
La vicenda processuale ad esame della Suprema Corte (Cass. pen., Sez. IV, Sent., 07/04/2022, n. 13199) esamina il caso di una lavoratrice, assunta con mansioni di addetta alla ristorazione all'interno di un autogrill, la quale riportava lesioni gravissime per essere scivolata nel punto di passaggio tra l'area del bancone ed il luogo - sito nel retro - ove erano preparate le vivande e dove era stata collocata una rampa dotata di tappetino antiscivolo.
La causa veniva individuata nella perdita di aderenza dovuta anche all'usura del tappetino antiscivolamento per effetto del tempo e sulla ulteriore circostanza che la dipendente non indossava le scarpe antinfortunistiche.
La sentenza succitata, nel dare atto che la Corte territoriale aveva fatto buon governo dei principi negli infortuni sul lavoro della Suprema Corte, ricordava che “Ai sensi del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 18, comma 1, lett. d), infatti, il datore di lavoro deve fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, costituisce un precetto al quale il datore di lavoro è tenuto a conformarsi a prescindere dal fatto che il loro utilizzo sia specificamente contemplato nel documento di valutazione dei rischi di cui all'art. 28 stesso decreto.”
Ha così ricordato che “il datore di lavoro ha l'obbligo di adottare idonee misure di sicurezza anche in relazione a rischi non specificamente contemplati dal documento di valutazione dei rischi, così sopperendo all'omessa previsione anticipata (Sez. 4, n. 4075 del 13/01/2021, Paulicelli, Rv. 280389).”
Quanto all'uso di un tappetino antisdrucciolo logoro, ha precisato che è configurabile la responsabilità del datore di lavoro - quale titolare della relativa posizione di garanzia, in quanto soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio - in caso di incidente conseguente al mancato aggiornamento dei dispositivi di sicurezza delle attrezzature (Sez. 4, n. 52536 del 09/11/2017, Cibin, Rv. 271536), valendo ciò per attrezzi del genere, di non particolare complessità, agevolmente sostituibili.
I giudici di piazza Cavour hanno altresì valutato l’efficacia della delega di funzioni atteso che l’amministratore aveva delegato Tizio, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008 art. 16, con procura speciale notarile, del ruolo di responsabile aziendale per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, col potere di compiere le attività connesse alla responsabilità per la tutela della salute e sicurezza.
Sul punto la Corte sottolineava che in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega sia espresso, inequivoco e certo.
Ed investa persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, fermo restando, comunque, l'obbligo, per il datore di lavoro, di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive (Sez. 4, n. 24908 del 29/01/2019, Ferrari, Rv. 276335; Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261109).
Ricordava che il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione del DVR non esonerava il datore di lavoro dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi alle lavorazioni in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata (Sez. 4, n. 27295 del 02/12/2016, dep. 2017, Furlan, Rv. 270355).
Da ciò consegue che la redazione del documento di valutazione dei rischi e l'adozione di misure di prevenzione non escludono la responsabilità del datore di lavoro quando, per un errore nell'analisi dei rischi o nell'identificazione di misure adeguate, non sia stata adottata un'idonea misura di prevenzione.
Concludeva, sul punto, che il datore di lavoro, quale titolare della posizione di garanzia, deve prevenire il concretizzarsi di rischi riguardanti la verificazione anche di un "evento raro" la cui realizzazione non sia però ignota all'esperienza e alla conoscenza della scienza tecnica e, una volta individuato il rischio, predisporre le misure precauzionali e procedimentali, ove necessarie, per impedire l'evento (Sez. 4, n. 27186 del 10/01/2019, D'Ottavio, Rv.276703).
Con la sentenza Cass. pen., Sez. IV, 07/04/2022, n.13200 la Corte ha giudicato il caso in cui un dipendente della ditta esecutrice di lavori in regime d’appalto, per un'emergenza lavorativa, usciva dalla zona "picking" a lui ordinariamente assegnata per recarsi sul piazzale di carico e, in tale luogo, era investito col muletto da un dipendente della società committente cagionando al medesimo lesioni.
Era stato contestato, in concorso, ai datori di lavoro sia della società committente che della società esecutrice dell’appalto l’omesso coordinamento per evitare i rischi da interferenza e la redazione di un DUVRI (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26), lasciando le maestranze ad operare in assenza di indicazioni precise e di soggetti di riferimento sempre presenti.
La Suprema Corte ha ricordato che, secondo il suo consolidato orientamento, l'obbligo di prevenzione gravante sul datore di lavoro non è limitato al solo rispetto delle norme tecniche, ma richiede anche l'adozione di ogni ulteriore accortezza necessaria ad evitare i rischi di nocumento per i lavoratori, purché ciò sia concretamente specificato in regole che descrivono con precisione il comportamento da tenere per evitare il verificarsi dell'evento (Sez. 4, n. 5273 del 21/09/2016, dep. 2017, Ferrentino, Rv. 270380),
Ha poi precisato che, alla luce della normativa prevenzionistica in materia di infortuni sul lavoro, sul datore di lavoro grava l'obbligo di valutare tutti i rischi connessi alle attività lavorative e attraverso tale adempimento pervenire all'individuazione delle misure cautelari necessarie e quindi alla loro adozione, occorrendo altresì che egli verifichi l'osservanza di tali misure da parte dei lavoratori, eventualmente designando dirigenti e/o preposti.
Ha rimarcato che, ai fini dell'operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione connessi all'esistenza di un rischio interferenziale, previsti dal D.Lgs. n. 9 aprile 2008, n. 81, art. 26 - occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - contratto d'appalto, d'opera o di somministrazione - ma all'effetto che tale rapporto origina. Più precisamente alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano sul medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte (Sez. 4, n. 1777 del 06/12/2018).
Il fatto analizzato, invece, da Cass. pen., Sez. IV, Sent., 07/04/2022, n.13218 è relativo ad un infortunio sul lavoro di un dipendente che, mentre stava attraversando un piazzale adibito al deposito e alla movimentazione delle merci con mezzi meccanici, fu investito da un muletto in retromarcia condotto da altro dipendente della medesima società.
Condannato il socio amministratore veniva altresì ritenuta responsabile la società datrice di lavoro ai sensi del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, artt. 5 e 25-septies per il reato commesso dall’amministratore "nell'esclusivo interesse dell'ente", in assenza di procedure amministrative volte a controllarne l'operato e così evitare gli infortuni sul lavoro.
In sede di impugnazione la società lamenta carenza di motivazione con riferimento ai presupposti della responsabilità dell'ente ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 5, opponendo che la Corte territoriale non aveva tenuto conto dell'entità delle spese complessivamente affrontate dalla società per manutenzione e sicurezza, di gran lunga superiori al risparmio che l'ente avrebbe conseguito.
Inoltre sosteneva che la società avrebbe conseguito un vantaggio dal reato consistito in un incremento di produttività, ma la motivazione sul punto era del tutto carente, precisando per di più che l'interesse e il vantaggio costituiscono due parametri di imputazione obiettiva alternativi, tra loro distinti, e operanti su piani diversi.
La Corte ha invece ribadito, come da consolidato orientamento nel panorama degli infortuni sul lavoro, che la giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che tale criterio soggettivo di imputazione, debba essere indagato ex ante e consista nella prospettazione finalistica, da parte del reo-persona fisica, di arrecare un interesse all'ente mediante il compimento del reato, a nulla valendo che poi tale interesse sia stato o meno concretamente raggiunto. (Sez. Un., n. 38343 del 24 aprile 2014, P.G., R.C., Espenhahn).