21 Agosto 2024

Il datore di lavoro ha l'obbligo di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici per le condizioni di sicurezza del lavoratore.

Cass. pen., Sez. III, Sent., 29/07/2024, n. 30950

Il datore di lavoro è titolare di una posizione di garanzia in ordine all' incolumità fisica dei lavoratori, da cui discende l'obbligo di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici, cui deve ottemperare sia vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza, sia esigendo dagli stessi lavoratori l'osservanza delle regole di cautela. Egli ha quindi l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell' incolumità fisica dei prestatori di lavoro.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta da

Dott. SARNO Giulio - Presidente

Dott. GALTERIO Donatella - Consigliere

Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere

Dott. GALANTI Alberto - Relatore

Dott. AMOROSO Maria Cristina - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sui ricorsi presentati da

1. A.A., nata a C il (Omissis);

2. B.B., nata in Marocco il (Omissis),

avverso la sentenza del Tribunale di Terni in data 04/12/2023.

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Alberto Galanti;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale D.ssa Cinzia Parasporo, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 04/12/2023, il Tribunale di Terni condannava A.A. e B.B. alla pena di Euro 5.000,00 ciascuna per la violazione degli articoli 17 e 18 D.Lgs. 81/2008 (capi b e c della rubrica), assolvendo le stesse in ordine alle residue imputazioni contravvenzionali e dichiarando il non doversi procedere in relazione al reato di cui all'articolo 590 cod. pen. per difetto di condizione di procedibilità.

2. Avverso la sentenza le imputate propongono ricorso per cassazione.

2.1. Con il primo motivo deducono violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli articoli 125, 546 e 521 c.p.p., 6 CEDU in relazione al principio di correlazione tra accusa e sentenza.

Le imputazioni indicavano la A.A. responsabile delle violazioni quale "amministratore unico" e la B.B. quale "proprietaria" della C.C. Srl; mentre la sentenza indica le stesse come "amministratrice di diritto" e "amministratrice di fatto", in ciò violando l'obbligo di correlazione tra accusa e sentenza, essendosi verificata una trasformazione sostanziale dei contenuti dell'addebito senza che le imputate si siano potute difendere.

2.2. Con il secondo motivo deducono violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli articoli 125, 546 c.p.p., 6 CEDU in relazione alla qualifica di "datore di lavoro" della B.B. la sentenza non specifica infatti in alcun modo perché la ricorrente debba considerarsi quale datrice di lavoro della persona offesa.

2.3. Con il terzo motivo deducono violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli articoli 125, 546 c.p.p., 6 CEDU in relazione alla mancata applicazione dell'articolo 131-bis cod. pen.

Viene rigettata la richiesta di applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto pur in presenza dei due indici requisiti previsti dalla norma (non gravità e non abitualità).

2.4. Con il quarto motivo deducono violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli articoli 125, 546 c.p.p., in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

2.5. Con il quinto motivo lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli articoli 125, 546 c.p.p., in relazione alla quantificazione della pena, irrogata, quanto al reato più grave, in misura non prossima al minimo edittale (4.000 Euro per il capo d, a fronte di una cornice edittale che va da 2.500 a 6.400 euro).

2.6. Con il sesto motivo lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli articoli 125, 546 c.p.p., in relazione all'articolo 81 cod. pen., per avere operato un aumento eccessivo di 1.000 Euro in continuazione.

2.5. Con il settimo motivo lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli articoli 125, 546 c.p.p., in relazione all'articolo 157 e 159 cod. pen., con espressa impugnazione dell'ordinanza assunta in data 22/05/2023, i cui contenuti vengono riportati.

3. In data 1 luglio 2024 l'Avv. Calogero Nobile, per gli imputati, depositava conclusioni scritte in cui insisteva per l'accoglimento dei ricorsi.

Motivi della decisione

1. I ricorsi sono infondati.

2. Il primo motivo è infondato.

Ed infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di correlazione tra accusa e sentenza (Sez. 5, n. 27905 del 03/05/2021, Ciontoli, Rv. 281817 - 03), la diversa qualificazione giuridica del fatto senza preventivamente renderne edotte le parti non determina compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, ove non avvenga "a sorpresa", ossia quando l'imputato e il suo difensore siano stati posti in condizione sin dall'inizio del processo di interloquire sulla questione, ed il fatto storico non sia radicalmente trasformato nei suoi elementi essenziali rispetto all'originaria imputazione.

Solo in questo caso, infatti, viene rispettato il diritto dell'imputato ad "essere informato tempestivamente e dettagliatamente tanto dei fatti materiali posti a suo carico, quanto della qualificazione giuridica ad essi attribuiti" (Sez. 5, n. 30435 del 18/04/2018, Trombetta, Rv. 273807 - 01).

E, sempre e solo in tal caso (Sez. 4, n. 2340 del 29/11/2017, Rv. 271758 - 01) vengono rispettati gli artt. Ili, comma 3, della Costituzione e 6, comma 3, lett. a), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali - come interpretato dalla Corte Europea Diritti dell'Uomo nella sentenza 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia, che impongono l'instaurazione del contraddittorio tra le parti sulla relativa questione di diritto.

Ciò premesso, si evidenzia che, ai sensi dell'articolo 2 del D.Lgs. 81/2008, il "datore di lavoro" viene identificato in colui che è (il corsivo è del Collegio) "titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa".

Nel caso in esame, a pagina 3 della sentenza si dà atto che teste D.D. (l'infortunato) nel corso dell'escussione espressamente precisava che "la B.B. (che dalla visura risulta socia al 100% e il cui nome porta la ditta), di fatto amministrava la società perché impartiva le direttive e lo aveva assunto".

Come appare evidente, nel corso dell'istruttoria dibattimentale era pacificamente emerso il ruolo di datore di lavoro di fatto della B.B., che sul punto ha avuto modo di difendersi e contraddire.

Del resto, la sentenza, a pagina 5, evidenzia come la circostanza che la B.B. sia indicata come "proprietaria" è questione che non incide in alcun modo sui diritti di difesa, essendo evidente dal complesso della contestazione e dagli atti prodotti in giudizio che sia stato imputato alla predetta il ruolo di datrice di lavoro di fatto (v., sul punto, il paragrafo che segue).

Non è pertanto ravvisabile alcuna violazione dell'obbligo di correlazione tra accusa e sentenza e il provvedimento impugnato ha in proposito correttamente motivato.

3. Il secondo motivo è inammissibile.

La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il datore di lavoro è titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, da cui discende l'obbligo di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici, cui deve ottemperare sia vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza, sia esigendo dagli stessi lavoratori l'osservanza delle regole di cautela (Sez. 4, n. 8883 del 10/02/2016, Santini, Rv. 266073; Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014, dep. 2015, Bonelli, Rv. 261946; Sez. 4, n. 37986 del 27/06/2012, Battafarano, Rv. 254365).

Egli ha quindi l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro (Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014, dep. 2015, Ottino, Rv. 263200).

L'articolo 299 del D.Lgs. 81/2008, inoltre, ha codificato la c.d. "clausola di equivalenza" (principio peraltro affermato già dalle Sezioni Unite della Corte con sentenza n. 9874 del 01/07/1992, Giuliani, Rv. 191185 - 01, e dalla giurisprudenza successiva, ben prima della introduzione della norma in esame), prevedendo che "le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti".

Tale estensione riposa sul "principio di effettività" (Sez. 4, n. 22079 del 20/02/2019, Cavallari, Rv. 276265 - 01; Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017, Minguzzi, Rv. 269973 - 01; Sez. 4, n. 22246 del 28/02/2014, Consol, Rv. 259224 - 01), a mente del quale assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, indipendentemente dalla sua funzione nell'organigramma dell'azienda (Sez. 4, n. 31863 del 10/04/2019, Agazzi, Rv. 276586 - 01), di talché l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale (Sez. 4, n. 18090 del 12/01/2017, Amadessi, Rv. 269803 - 01).

La posizione di garanzia, quindi, può essere generata sia da una "investitura formale" che dall'"esercizio di fatto" delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante, secondo un criterio di ordine sostanziale e funzionalistico (Sez. 4, n. 10704 del 07/02/2012, Corsi, Rv. 252676 -01).

Nel caso di specie la sentenza impugnata, come visto, ha chiarito che la B.B. esercitava in fatto poteri corrispondenti a quelli del datore di lavoro, essendo colei che impartiva le direttive ai lavoratori e aveva assunto il testimone.

Con tale affermazione il ricorrente non si confronta, rendendo così inammissibile la doglianza per genericità.

4. Il terzo motivo è del pari inammissibile per genericità.

La sentenza, a pagina 5, precisa che non è possibile riconoscere la causa di non punibilità di cui all'articolo 131 -bis coti. pen. in quanto manca l'indice-requisito della particolare tenuità del fatto di reato, il quale è connesso con l'infortunio sul lavoro contestato al capo a) in danno del D.D. (dal quale è derivata una incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni per 21 giorni).

Il ricorso, che si profonde in copiosi richiami giurisprudenziali di carattere generale, non si confronta tuttavia con il tenore della motivazione, risultando pertanto generico e quindi inammissibile.

5. Il quarto motivo è manifestamente infondato.

Il Tribunale non ritiene concedibili le circostanze attenuanti generiche in assenza di elementi positivamente valutabili in tal senso. Anzi, precisa che la condotta ostruzionistica tenuta dalle imputate appare decisamente ostativa. Il riferimento, in particolare, è alla presentazione di falsi attestati di formazione e false consegne di DPI, contenuto a pagina 5 della sentenza.

Tale motivazione fa buon governo dei principi elaborati da questa Corte, la quale ritiene che le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale "concessione" del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell'art. 133 cod. pen., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena" (cfr., Sez. 2, n. 14307 del 14.3.2017, Musumeci; Sez. 2, n. 30228 del 5.6.2014, Vernucci); il loro riconoscimento non costituisce, pertanto, un diritto dell'imputato, conseguente all'assenza di elementi negativi, ma richiede elementi di segno positivo (v. ex multis sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, De Crescenzo, Rv. 281590; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, n.m.); inoltre, stante la ratio della disposizione di cui all'art. 62-bis cod. pen., al giudice di merito non è richiesto di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (sez. 2 n. 3896 del 20/1/2016, Rv. 265826; sez. 7 n. 39396 del 27/5/2016, Rv. 268475; sez. 4 n. 23679 del 23/4/2013, Rv. 256201), rientrando la stessa concessione di esse nell'ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737). Non è neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all'art. 133 cod. pen., ma è sufficiente specificare a quale si sia inteso far riferimento (sez. 1, n. 33506 del 7/7/2010, Rv. 247959; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv 242419).

Rileva altresì questa Corte, con principio che il Collegio ribadisce, che "il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62-bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Guarnieri, Rv. 283489 - 01; Sez. 1, Sentenza n, 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986 - 01)".

Il motivo è pertanto manifestamente infondato.

6. Il quinto motivo, relativo alla quantificazione della pena base, è del pari manifestamente infondato.

La graduazione del trattamento sanzionatorio, in generale, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.

Per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che il giudice dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, S., Rv. 278869-01, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243 - 01).

Nel giudizio di cassazione è dunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, Cicciù, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, Pacchiarotti, Rv. 255825; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, Cipollini, non mass.).

Nel caso di specie, la sentenza precisa che lo scostamento dal minimo edittale è giustificato "avuto riguardo alla totale carenza dei requisiti in capo al RSPP, mentre l'applicazione dell'ammenda invece che dell'arresto tiene conto che comunque un responsabile (peraltro con ampia autorevolezza, trattandosi dell'amministratrice) è stato nominato", contenendo quel minimum di motivazione richiesto dalla norma.

7. Il sesto motivo, relativo all'aumento operato per la continuazione, è manifestamente infondato.

Il Collegio non può che prendersi le mosse da Sez. U. n. 47127, del 24/06/2021, Pizzone, secondo cui "ove riconosca la continuazione tra reati, ai sensi dell'art. 81 cod. pen., il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base per tale reato, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ognuno dei reati satellite" (c.d. "visione multifocale" descritta dalle Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263717, poi richiamata da Sez. U, n. 40983 del 21/06/2018, Giglia, Rv. 273750, che una volta ancora ha rimarcato la necessità della individuazione delle pene per i singoli reati satellite).

In relazione al quantum di motivazione richiesta per ciascun aumento di pena, risulta consolidato il principio secondo il quale nel caso in cui venga irrogata una pena di gran lunga più vicina al minimo che al massimo edittale, il mero richiamo ai "criteri di cui all'art. 133 cod. pen." deve ritenersi motivazione sufficiente per dimostrare l'adeguatezza della pena all'entità del fatto (Sez. 1, n. 6677 del 05/05/1995, Brachet, Rv.201537; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464).

E, per converso, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall'art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio (Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, Bonarrigo, Rv. 241189; Sez. 5, n. 511 del 26/11/1996, dep. 1997, Curcillo, 207497).

Ancora, elemento che può fungere da parametro di giudizio sulla ragionevolezza del calcolo è il rispetto della "proporzionalità interna" tra la pena irrogata per il reato base e quelle determinate per i reati satellite (Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, non massimata sul punto).

Da tale complesso di pronunce si evince un principio di fondo, esplicitato da Sez. 6, n. 8156 del 12/01/1996, Moscato, Rv. 205540 (richiamata dalle Sez. U. Pizzone), secondo cui è necessario che

1. risultino rispettati i limiti previsti dall'art. 81 cod. pen.;

2. che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene;

3. che sia stato rispettato, ove ravvisabile, il rapporto di proporzione tra le pene, riflesso anche della relazione interna agli illeciti accertati.

Parametri, tutti, rispettati nel caso di specie, con conseguente manifesta infondatezza del motivo di doglianza.

8. Il settimo motivo, relativo alla prescrizione, è inammissibile per genericità.

La sentenza (nel precisare che si è verificata una sospensione della prescrizione dal 22 maggio al 23 novembre 2023, il che renderebbe comunque non maturato - alla data di pronuncia della sentenza - il termine massimo di prescrizione) rammenta come entrambi i reati siano permanenti e che il licenziamento del D.D. non ha avuto efficacia non essendo mai stato formalmente comunicato all'interessato, con la conseguente prosecuzione della consumazione del reato fino all'epoca della contestazione (30/10/2019).

Con tale motivazione il ricorso non si confronta, limitandosi a generiche deduzioni e risultando, di tal guisa, inammissibile.

9. I ricorsi debbono quindi essere rigettati, con conseguente onere per le imputate del pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Conclusione

Così deciso l'11 luglio 2024.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2024.

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