Cass. pen., Sez. IV, Sent., 21/11/2024, n. 42623
Per giurisprudenza costante, " in tema di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, l'adempimento degli obblighi di informazione e formazione dei dipendenti, gravante sul datore di lavoro, non è escluso né è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. DOVERE Salvatore - Presidente
Dott. VIGNALE Lucia - Relatore
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere
Dott. BRANDA Francesco Luigi - Consigliere
Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A. nato a V il (Omissis)
avverso la sentenza del 21/03/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCIA VIGNALE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCA COSTANTINI, che ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore Avvocato NICOLA GUERRA del foro di VICENZA il quale ha illustrato i motivi di
ricorso chiedendone l'accoglimento.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 21 marzo 2024, la Corte di appello di Torino ha parzialmente riformato la sentenza pronunciata il 13 marzo 2023 dal Tribunale della stessa città. La Corte territoriale ha confermato l'affermazione della responsabilità di A.A. per il reato di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen. in danno di B.B., ma - diversamente dal giudice di primo grado -ha ritenuto applicabili le attenuanti generiche, le ha valutate prevalenti sulla aggravante e ha determinato la pena nella misura di Euro 200 di multa.
2. Il procedimento ha ad oggetto un infortunio sul lavoro verificatosi il 25 aprile 2021 presso un centro di cottura e confezionamento sito a G, gestito dalla "Euroristorazione Srl", società della quale A.A. è il legale rappresentante. L' infortunata, B.B., era dipendente della società, lavorava da tempo presso il centro di Grugliasco ed era, di regola, addetta al servizio di ristorazione scolastica. Nel marzo 2020, essendo state chiuse le scuole a causa della pandemia da Covid 19, la lavoratrice era stata provvisoriamente assegnata al servizio di ristorazione ospedaliera e, dopo la riapertura della ristorazione scolastica, tornata alle precedenti mansioni, aveva chiesto di lavorare nella ristorazione ospedaliera durante i fine settimana e nei giorni festivi per poter fare qualche ora di straordinario. Quando l' infortunio si verificò, la B.B. stava lavorando nel servizio di confezionamento dei pasti destinati agli ospedali quale addetta ad una macchina confezionatrice. Questa macchina (denominata "Ilpa Food Pack 1400 N") era destinata a ricoprire con una pellicola di plastica termosaldata i piattini contenenti gli alimenti ed era costituita da un caricatore -sul quale dovevano essere appoggiati, in sequenza, i piattini contenenti il cibo - e da una "campana" che, abbassandosi su ciascun piattino, lo copriva con la pellicola, saldandola e tagliandola, per poi sollevarsi consentendo al piattino di proseguire e arrivare ad una cesta. Dopo essere state riempite di piattini così confezionati, le ceste erano inviate alle mense. La ricostruzione dei fatti non è controversa: l' infortunio si verificò perché la B.B., accortasi che la pellicola era finita e un piatto non era stato confezionato correttamente, tentò di recuperarlo aprendo uno sportello che dà accesso alla "campana" e infilando la mano destra nella zona di azione degli organi lavoratori, che colpirono la mano provocando la frattura del primo, terzo e quarto dito. La malattia conseguente ebbe durata superiore ai quaranta giorni. Al momento dell' infortunio, lo sportello posto all' ingresso del corpo centrale della macchina (dove si trova la campana) non era dotato di un microinterruttore idoneo a bloccare gli organi lavoratori in caso di apertura. Più precisamente, secondo quanto emerso nel corso dell' istruttoria dibattimentale, questo microinterruttore era presente nel 2020, quando la macchina era stata installata nello stabilimento, ma, qualche tempo prima dell' infortunio, questa protezione era stata disattivata. Dalle sentenze di primo e secondo grado emerge (e anche questo dato non è controverso) che i cavi elettrici erano stati collegati in modo da bypassare la sicurezza tramite un connettore a innesto da elettricista: si trattava, dunque, di un lavoro eseguito da personale tecnico specializzato. Le sentenze riferiscono che la manutenzione del macchinario era affidata alla ditta "Unimec" il cui responsabile, in data 13 aprile 2021 (dodici giorni prima dell' infortunio), aveva inviato una mail a C.C., addetta all'ufficio manutenzioni della "Euroristorazione", nella quale aveva segnalato la necessità di una accurata e approfondita manutenzione da effettuarsi presso la sede della "Unimec". I giudici di merito riferiscono che la "Unimec" non aveva segnalato situazioni di pericolo che impedissero di lavorare alla macchina confezionatrice. Dall' istruttoria dibattimentale è emerso che, quando era necessario fermare la macchina per sostituire il rotolo di pellicola esaurito, gli operai la spegnevano premendo un tasto rosso. La B.B. ha sostenuto di aver agito in tal senso anche il giorno dei fatti e, tuttavia, quando inserì la mano nel corpo macchina, gli organi lavoratori dovevano essere ancora in movimento.
2.2. Per meglio comprendere i motivi di ricorso si deve riferire che, all'esito del giudizio di primo grado, A.A. è stato ritenuto responsabile dell'infortunio occorso alla B.B., nella qualità di legale rappresentante della società e datore di lavoro dell' infortunata, per la ritenuta sussistenza di tre profili di colpa ed in specie: - per non aver indicato nel documento di valutazione del rischio idonee misure di prevenzione e protezione da attuare nell'utilizzo della macchina confezionatrice (art. 28, comma 2, D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81); - per aver fornito ai dipendenti una attrezzatura priva di protezioni tali da impedire l'accesso alle zone pericolose o, comunque, per non aver adottato le misure necessarie affinché l'attrezzatura medesima fosse installata e utilizzata in conformità alle istruzioni d'uso e fatta oggetto di idonea manutenzione (art. 71, comma 1, e comma 4, lett. a), n. 1 e n. 2 D.Lgs. n. 81/08); - per non aver assicurato alla lavoratrice un'adeguata formazione nell'uso della macchina (art. 71, comma 7, lett. a), D.Lgs. n. 81/08). Pur confermando l'affermazione della penale responsabilità dell' imputato, la Corte di appello ha esplicitamente escluso la sussistenza dei primi due profili di colpa. Quanto alla inadeguatezza del DVR, la Corte territoriale ha osservato (pag. 6 della motivazione) che, prima dell' infortunio (precisamente il 5 gennaio 2021), il DVR era stato aggiornato e vi era stata inserita una valutazione dei rischi connessi all'uso di una macchina confezionatrice. Secondo la Corte di appello, tale valutazione, pur non riferita specificamente al macchinario sul quale si verificò l' infortunio, disponeva tuttavia che, prima dell'uso, fossero eseguite verifiche sul funzionamento dei dispositivi di sicurezza, sull' integrità dei carter di protezione, dei cavi di alimentazione e degli interruttori di comando; prevedeva inoltre, espressamente, che i dispositivi di sicurezza non dovessero essere rimossi e, in caso di malfunzionamento, la macchina non dovesse essere utilizzata. Il rischio derivante dall'uso di una confezionatrice, dunque, era stato valutato e i giudici di secondo grado hanno ritenuto che la violazione dell'art. 28 D.Lgs. n. 81/08 non fosse sussistente, non potendo essere collegata al fatto che la valutazione era riferita genericamente a una confezionatrice e non alla confezionatrice "Ilpa Food Pack 1400 N" installata in reparto. La Corte di appello ha escluso che fosse ascrivibile ad A.A. anche un ulteriore profilo di colpa ritenuto sussistente dal giudice di primo grado, rappresentato dalla violazione dell'art. 71, commi 1 e 4, D.Lgs. n. 81/08. Secondo la Corte territoriale (pag. 7 e ss. della motivazione) la "acclarata rimozione dei dispositivi di sicurezza", che servivano a bloccare immediatamente gli organi in movimento in caso di apertura dei ripari, avvenne in un momento imprecisato, ma certamente successivo alla installazione della macchina. La confezionatrice, inoltre, era stata oggetto di interventi di manutenzione da parte di una ditta specializzata nelle settimane precedenti all' infortunio e questa ditta aveva "consigliato di sottoporre a revisione" il macchinario, ma non aveva " indicato la necessità di sospenderne l'utilizzo", né evidenziato "problemi incidenti sulla sicurezza". Pertanto, secondo i giudici di appello, nessun concreto rimprovero può essere formulato nei confronti di A.A. per non aver verificato la perdurante presenza del dispositivo di protezione e non aver sospeso l'utilizzo del macchinario. Si trattò, infatti, "di un sopravvenuto malfunzionamento, neppure rilevato o espressamente segnalato dai tecnici specializzati che ripetutamente intervenivano sulla macchina confezionatrice, né mai evidenziato all' imputato da altri soggetti (dipendenti, preposti, RSPP)". I giudici di secondo grado hanno sottolineato che A.A. aveva disposto affinché la macchina fosse oggetto di manutenzioni regolari e non era stato informato del fatto che le protezioni non erano funzionanti. Ne hanno tratto la conclusione che la condotta della cui omissione A.A. è stato accusato non era concretamente esigibile, " impregiudicata ogni valutazione circa la possibilità per i "ruoli intermedi"" di provvedere in via autonoma a bloccare l'uso della macchina. L'affermazione della penale responsabilità di A.A. è stata confermata, invece, con riferimento al profilo di colpa derivante dalla mancanza di una adeguata formazione e informazione della B.B., che lavorava alla confezionatrice pur non essendo stata specificamente informata, formata e addestrata all'uso di quella macchina: una formazione che i giudici di merito hanno ritenuto doverosa, ai sensi dell'art. 71, comma 7, D.Lgs. n. 81/08, in ragione delle caratteristiche della confezionatrice e del fatto che le mansioni cui l'infortunata era abitualmente addetta non comportavano l'uso di macchinari simili. La Corte territoriale ha ritenuto che tale omissione fosse ascrivibile al legale rappresentante della società anche se, con apposita procura speciale, A.A. aveva conferito al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione - ing. D.D. - una delega ad occuparsi della sicurezza e della materia antinfortunistica. Ha ritenuto, infatti, che questa delega, riguardando la gestione della sicurezza per l' intera azienda, fosse troppo generica. Ha rilevato, poi, che la delega non attribuiva al delegato l'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate. Ha sottolineato, infine, che, ai sensi dell'art. 16, comma 3, D.Lgs. n. 81/08 A.A. avrebbe comunque dovuto vigilare sul corretto svolgimento delle funzioni affidate al delegato e ciò non risultava essere avvenuto.
3. Per mezzo del difensore, munito di specifico mandato ai sensi dell'art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., A.A. ha proposto ricorso contro la sentenza della Corte di appello. Il ricorso si articola in quattro motivi che di seguito si riportano, nei limiti strettamente necessari alla decisione, come previsto dall'art. 173, comma 1, D.Lgs. 28 luglio 1989 n. 271.
3.1. Col primo motivo, il ricorrente deduce erronea applicazione dell'art. 37, comma 5, D.Lgs. n. 81/08 nel testo vigente all'epoca del fatto e vizi di motivazione quanto alla ritenuta violazione dell'obbligo di formazione della dipendente. Dopo aver sottolineato che, a seguito della pronuncia della corte di appello, l'unico profilo di colpa attribuito all' imputato è quello rappresentato dal mancato adempimento dell'obbligo di formazione, il difensore osserva: - che la B.B. era dipendente della "Euroristorazione Srl" dal 2017 in qualità di operaia addetta al servizio mensa per la ristorazione collettiva e (come è stato documentato), al momento dell'assunzione, aveva partecipato a un corso sulla sicurezza del lavoro; - che la lavoratrice infortunata era stata addetta al confezionamento di cibi destinati alla ristorazione ospedaliera a partire dal mese di marzo 2020 (quando i servizi per la ristorazione scolastica erano stati sospesi a causa della pandemia) e, dopo la riapertura della ristorazione scolastica, aveva continuato a lavorare al confezionamento dei pasti destinati agli ospedali nei giorni festivi sicché, da oltre un anno, era addetta alla macchina confezionatrice sulla quale stava lavorando quando si infortunò; - che - come la stessa B.B. ha dichiarato in giudizio e come risulta dalle deposizioni della responsabile del reparto (Vita Muni) e del delegato alla sicurezza (D.D.) - giunta in reparto, la lavoratrice aveva "ricevuto sul campo, da personale incaricato, istruzioni specifiche sul funzionamento della macchina" e sulle precauzioni che dovevano essere adottate quando il rotolo della pellicola destinata al confezionamento si esauriva e doveva essere sostituito; - che, ai sensi dell'art. 37, comma 5, D.Lgs. n. 81/08, "l'addestramento viene effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro" e, solo in epoca successiva all' infortunio (col decretolegge 21 ottobre 2021, n. 146 convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215), questa norma è stata integrata indicando in che modo l'addestramento deve essere svolto e obbligando il datore di lavoro a tracciare, " in apposito registro anche informatizzato", gli interventi di addestramento effettuati. Secondo la difesa, la Corte di appello ha ritenuto che la B.B. non fosse stata formata all'uso della confezionatrice solo perché la società non ha fornito agli operatori della prevenzione documentazione attestante lo svolgimento di corsi di formazione. Così argomentando - sostiene il difensore - i giudici di merito hanno ritenuto che la formazione e l'addestramento all'uso di un macchinario possano essere provati soltanto in forma scritta applicando retroattivamente le disposizioni sul tracciamento degli interventi di addestramento, introdotte nell'art. 37, comma 5, D.Lgs. n. 81/08 in epoca successiva ai fatti.
3.2. Col secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizi di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del nesso causale tra l'asserita violazione degli obblighi di formazione e informazione e il verificarsi dell'evento lesivo. La difesa rileva che, in precedenti occasioni, la B.B. aveva provveduto a cambiare la pellicola e aveva constatato che, aprendo lo sportello di accesso agli organi lavoratori, la macchina si bloccava. La difesa sottolinea che, a detta della stessa infortunata, a partire da una data imprecisata precedente all' infortunio, questo sistema di protezione cessò di funzionare, sicché la B.B. sapeva benissimo che la protezione non era attiva, ma aprì ugualmente lo sportello che dava accesso agli organi lavoratori e infilò la mano nel loro raggio di azione. In tesi difensiva, la condotta realizzata fu così macroscopicamente imprudente che nessun corso di formazione avrebbe potuto impedirla. La B.B., infatti, agì nel modo indicato pur essendo consapevole che, aprendo lo sportello di accesso agli organi lavoratori, la macchina non si sarebbe bloccata. La difesa sviluppa questo argomento osservando che la Corte di appello ha attribuito rilevanza causale nel verificarsi dell' infortunio alla manomissione del microinterruttore posto sullo sportello, ma ha riconosciuto che di questa anomalia A.A. non era stato informato ed ha escluso che egli possa rispondere dell' infortunio per non aver evitato che la manomissione avvenisse o per non avervi posto tempestivo riparo. Sostiene, dunque, che la motivazione fornita dalla Corte di appello è contraddittoria: il datore di lavoro, infatti, non doveva assicurarsi che la dipendente fosse formata all'uso di una macchina non più conforme alle norme antiinfortunistiche e non poteva formarla a prevenire i rischi connessi ad un malfunzionamento del quale non aveva avuto notizia. Secondo la difesa, tale contraddizione è tanto più evidente se si considera che (come la sentenza impugnata ricorda), in base al DVR predisposto dal datore di lavoro, prima di mettere in uso una confezionatrice si doveva verificare il corretto funzionamento dei dispositivi di sicurezza e del pulsante di emergenza essendo espressamente vietato l'uso di macchine malfunzionanti.
3.3. Col terzo motivo, la difesa deduce violazione degli artt. 40 e 43 cod. pen. e vizi di motivazione con riferimento alla ritenuta esigibilità concreta dell'adempimento del dovere di formazione e informazione specificamente riguardante l'uso della confezionatrice da parte della B.B. La difesa osserva che A.A. è il legale rappresentante di una realtà aziendale complessa e, come anche la sentenza impugnata riconosce (pag. 9), la "Euroristorazione Srl" gestisce "decine di centri di cottura operanti per conto di scuole, ospedali, aziende e ha migliaia di dipendenti". Proprio per questo, la Corte di appello ha escluso che l' imputato avesse la concreta possibilità di verificare il corretto funzionamento del sistema di protezione della macchina confezionatrice. Sarebbe dunque contraddittorio e manifestamente illogico non aver compiuto un ragionamento analogo con riferimento al dovere di formazione e informazione. Osserva in proposito il difensore che, secondo quanto emerge dagli atti, A.A. non fu informato (né doveva esserlo) del fatto che la B.B. lavorava, oltre che nella ristorazione scolastica, anche nel reparto per il confezionamento dei pasti ospedalieri e, dunque, non poteva essere consapevole della necessità di sottoporla ad un corso di formazione specifico per l'uso della confezionatrice presente in quel reparto. Secondo la difesa, a ciò deve aggiungersi che non risulta essere stata portata a conoscenza del datore di lavoro o di delegati e preposti la prassi di rimediare al malfunzionamento del microinterruttore accedendo agli organi lavoratori dopo aver spento la macchina, sicché non può dirsi che A.A. abbia colposamente ignorato questa prassi né si può sostenere che avrebbe dovuto porvi riparo con una apposita attività di formazione.
3.4. Col quarto motivo, il ricorrente deduce errata applicazione dell'art. 16, comma 3, D.Lgs. 81/2008 e vizi di motivazione. Secondo la difesa, la sentenza di appello ha escluso che A.A. avesse validamente conferito all' ing. D.D.- Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione - una delega ad occuparsi della sicurezza e della materia antinfortunistica non avendo correttamente valutato le emergenze documentali. La Corte di appello ha ritenuto che la delega acquisita agli atti (conferita a D.D. nel 2011), avendo ad oggetto la gestione della sicurezza per l' intera azienda, fosse troppo generica, e fosse comunque inidonea a liberare il delegante per la mancata indicazione delle somme eventualmente messe a disposizione del delegato. Nel contrastare tali motivazioni la difesa osserva: - che D.D. è soggetto qualificato, dotato delle necessarie competenze professionali; - che i poteri conferiti al delegato non riguardano l' intera gestione aziendale, ma sono tutti riconducibili ad un solo specifico settore, quello della sicurezza sul lavoro e della materia infortunistica; - che, né a livello normativo né a livello giurisprudenziale, sono previsti limiti alla quantità dei poteri delegabili, essendo esclusa solo la possibilità di delegare l'attività di valutazione dei rischi e la nomina del Responsabile del Servizio di Prevenzione e protezione. La difesa rileva inoltre che, come risulta dal contenuto della delega (allegata al ricorso), "Euroristorazione Srl" si era impegnata a mettere a disposizione del delegato alla sicurezza "adeguate risorse, secondo proposte annuali" da lui stesso formulate. Sottolinea che - come la stessa Corte di appello ha riconosciuto (pag. 14 della motivazione), come risulta dalla documentazione prodotta nel corso del giudizio (anch'essa allegata al ricorso) e come dichiarato in udienza dalla teste C.C. (addetta all'ufficio manutenzioni) - nel triennio 2020-2022 la "Euroristorazione Srl" ha speso oltre 130.000 Euro per spese di manutenzione e messa in sicurezza del centro di cottura di G. Secondo la difesa, la Corte di appello avrebbe illogicamente trascurato questi dati valorizzando invece la circostanza che, negli anni successivi al 2011, non era stato espressamente indicato fino a quale somma D.D. aveva potere di spesa autonomo e le dichiarazioni rese dalla teste C.C., secondo la quale A.A. visionava tutti i preventivi. In tesi difensiva: la circostanza che il delegato debba rendere conto al datore di lavoro del modo in cui ha esercitato il proprio potere di spesa e svolto le attività delegate non è idonea a togliere valore alla delega conferita; la documentazione prodotta attesta che C.C. potè sempre disporre delle risorse economiche necessarie allo svolgimento dei compiti delegati; non è controverso che D.D. si occupasse in concreto della sicurezza atteso che anche l' infortunata ha reso dichiarazioni in tal senso. Quanto alle funzioni di controllo e vigilanza che il datore di lavoro è tenuto a svolgere sul delegato ai sensi dell'art. 16, comma 3, D.Lgs. n. 81/08, la difesa sostiene che tale attività di controllo si riferisce all'adeguatezza dell'organizzazione predisposta dal delegato. Sostiene che non può attribuirsi al datore di lavoro delegante - se non attribuendogli una responsabilità di posizione - l'obbligo di verificare che ciascun singolo dipendente sia specificamente formato e informato, salvo che la necessità della formazione non derivi da situazioni critiche delle quali il datore di lavoro sia stato reso edotto: una eventualità che la Corte di appello ha escluso quando ha ritenuto non sussistente la violazione dell'art. 71 , commi 1 e 4 , D.Lgs. n. 81/08 ascritta ad A.A.
Motivi della decisione
1. Nessuno dei motivi di ricorso merita accoglimento.
2. La sentenza impugnata ha ritenuto che l' infortunio oggetto del procedimento debba essere ascritto a A.A., quale legale rappresentante della società alle cui dipendenze la B.B. lavorava, per colpa consistita nella violazione dell'art. 71, comma 7, lett. a) D.Lgs. n. 81/08 che così testualmente recita: "Qualora le attrezzature richiedano per il loro impiego conoscenze o responsabilità particolari in relazione ai loro rischi specifici, il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché: a) l'uso dell'attrezzatura di lavoro sia riservato ai lavoratori allo scopo incaricati che abbiano ricevuto una informazione, formazione ed addestramento adeguati...". Le nozioni di informazione, formazione e addestramento sono definite nel D.Lgs. n. 81/08 all'art. 2, lettere aa), bb) e cc) dove si legge: - che la "formazione" è il "processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi"; - che l'" informazione" è il "complesso delle attività dirette a fornire conoscenze utili alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi in ambiente di lavoro"; - che l'"addestramento" è il "complesso delle attività dirette a fare apprendere ai lavoratori l'uso corretto di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, dispositivi, anche di protezione individuale, e le procedure di lavoro". L'art. 37 D.Lgs. n. 81/08 (citato dal ricorrente) distingue la formazione e informazione dall'addestramento. Disciplina infatti, nei primi tre commi, i contenuti e le modalità della formazione e dell' informazione e stabilisce al quarto comma che debbano avvenire - unitamente all'addestramento specifico "ove previsto" - " in occasione: a) della costituzione del rapporto di lavoro o dell' inizio dell'utilizzazione qualora si tratti di somministrazione di lavoro; b) del trasferimento o cambiamento di mansioni; c) della introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e miscele pericolose". L'addestramento, dunque "ove previsto" si accompagna alla formazione, ma non la sostituisce e - ai sensi del citato art. 71, comma 7 - il datore di lavoro può adibire i dipendenti all'uso di attrezzature che presentano rischi specifici e richiedono per il loro impiego conoscenze o responsabilità particolari, solo dopo averli informati e formati adeguatamente e averli opportunamente addestrati. Chiare indicazioni in tal senso si rinvengono anche nell'art. 73 D.Lgs. n. 81/08 in base al quale: "Nell'ambito degli obblighi di cui agli articoli 36 e 37 il datore di lavoro provvede, affinché per ogni attrezzatura di lavoro messa a disposizione, i lavoratori incaricati dell'uso dispongano di ogni necessaria informazione e istruzione e ricevano una formazione e un addestramento adeguati, in rapporto alla sicurezza relativamente: a) alle condizioni di impiego delle attrezzature; b) alle situazioni anormali prevedibili". L'art. 73 D.Lgs. n. 81/08 stabilisce inoltre, al quarto comma: che il datore di lavoro debba provvedere "affinché i lavoratori incaricati dell'uso delle attrezzature che richiedono conoscenze e responsabilità particolari di cui all'articolo 71, comma 7, ricevano una formazione, informazione ed addestramento adeguati e specifici, tali da consentire l'utilizzo delle attrezzature in modo idoneo e sicuro, anche in relazione ai rischi che possano essere causati ad altre persone".
3. Alla luce del quadro normativo così delineato, il primo motivo di ricorso è infondato. La difesa sottolinea che ai sensi dell'art. 37, comma 5, D.Lgs. n. 81/08 "l'addestramento viene effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro" e ricorda che, all'epoca dei fatti, questa norma non conteneva nessuna ulteriore previsione. Solo col decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215), infatti, il quinto comma dell'art. 37 è stato modificato aggiungendo alla frase "l'addestramento viene effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro" il periodo seguente: "L'addestramento consiste nella prova pratica, per l'uso corretto e in sicurezza di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, dispositivi, anche di protezione individuale; l'addestramento consiste, inoltre, nell'esercitazione applicata, per le procedure di lavoro in sicurezza. Gli interventi di addestramento effettuati devono essere tracciati in apposito registro anche informatizzato". Secondo il ricorrente, l' istruttoria dibattimentale ha provato che la B.B. fu formata e addestrata all'uso della confezionatrice. Nell'escludere che ciò sia avvenuto, pertanto, la sentenza impugnata avrebbe applicato retroattivamente il nuovo testo dell'art. 37 D.Lgs. n. 81/08 e avrebbe ritenuto che la formazione, l'informazione e l'addestramento all'uso di un macchinario possano essere provati soltanto attraverso produzioni documentali. A sostegno dì tali conclusioni la difesa osserva: che la stessa infortunata ha dichiarato di essere stata assegnata al reparto per il confezionamento dei cibi ospedalieri nel marzo 2020 (a causa della pandemia) e di aver ricevuto spiegazioni sul funzionamento della macchina da una collega addetta da tempo a quel reparto; che dichiarazioni analoghe sono state rese dalla teste Vita Munì, la quale ha confermato di aver spiegato alla B.B. il funzionamento della confezionatrice; che, non ostante ciò, i giudici di merito hanno ritenuto la violazione dell'art. 71, comma 7, lett. a) D.Lgs. n. 81/08. In tesi difensiva, i giudici di merito sarebbero giunti a tale conclusione perché la società non ha prodotto documentazione attestante lo svolgimento di attività di formazione e di addestramento e sul rilievo che, solo dopo aver ricevuto prescrizioni dagli ufficiali di PG dello SPRESAL, è stato " istituito un registro da cui risultava che le lavoratrici che operavano con la macchina erano state "formate"" (pag. 10 della sentenza impugnata). 3.1. L'argomentazione non ha pregio. La sentenza impugnata riferisce che, secondo quanto emerso dall' istruttoria dibattimentale, Vita Munì dette indicazioni all' infortunata sul funzionamento della confezionatrice, ma esclude che queste indicazioni possano rappresentare una formazione specifica ai sensi degli artt. 71, comma 7 e 73 D.Lgs. n. 81/08. Osserva infatti, che la B.B. ha dichiarato: "di aver ricevuto solo generiche istruzioni da altre colleghe sul funzionamento della macchina e su come cambiare la carta"; di aver constatato, all' inizio, che aprendo lo sportello che chiude la piastra "la macchina si bloccava seduta stante"; di essersi accorta, dopo qualche tempo, che non era più così e di essersi rivolta alle colleghe dalle quali ricevette l' indicazione "di schiacciare il tasto rosso" che era, per lei anche "il tasto di emergenza" (pag. 10 della motivazione) Ad analoghe conclusioni era giunta la sentenza di primo grado, dalla quale risulta che, nel corso del dibattimento, Vita Munì ha spiegato il funzionamento della macchina in termini assai semplici affermando, tra l'altro, che per cambiare la pellicola, si doveva "fermare la macchina premendo il tasto rosso vicino al fungo" e "mentre il tasto rosso serve per spegnere la macchina, il fungo serve per le emergenze (ad esempio è da schiacciare quando si incastra un piatto)" (pag. 5 della sentenza di primo grado). Non è manifestamente illogico né contraddittorio aver ritenuto che l'attività informativa svolta da una collega di lavoro nei termini indicati, non rappresenti una idonea formazione all'uso di una confezionatrice. La teste Muni ha dichiarato di aver spiegato alla Dìmitri come funzionava il macchinario; ma, per espressa previsione di legge, l'addestramento è il "complesso delle attività dirette a fare apprendere ai lavoratori l'uso corretto di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, dispositivi, anche di protezione individuale, e le procedure di lavoro", sicché non può considerarsi "addestrato" chi abbia ricevuto da un collega di lavoro le istruzioni indispensabili all'uso di una macchina. A ciò deve aggiungersi che l' infortunata ha detto di aver constatato personalmente che l'apertura delle protezioni non determinava più il blocco della macchina e di aver ricevuto istruzione di fermare la macchina premendo il tasto rosso, ma ha mostrato di non aver chiara la differenza tra quel tasto e il fungo di emergenza. Come si è detto, il legislatore richiede che l'addestramento (ove previsto) debba essere preceduto da una attività di formazione e informazione. L'art. 73, comma 1, D.Lgs. n. 81/08 stabilisce, infatti, che il datore di lavoro debba provvedere affinché i lavoratori che abbiano a disposizione una attrezzatura e siano incaricati di usarla dispongano di ogni necessaria informazione e istruzione e ricevano una formazione e un addestramento adeguati, in rapporto alla sicurezza, non solo per quanto riguarda le normali condizioni di impiego di tali attrezzature, ma anche con riferimento "alle situazioni anormali prevedibili". Ne consegue che la B.B. avrebbe dovuto essere formata sull'uso della confezionatrice e, se ciò fosse avvenuto, sarebbe stata edotta della differenza esistente tra il tasto rosso di fermo macchina e il fungo di emergenza, differenza della quale ha mostrato invece di non essere consapevole. A ciò deve aggiungersi che, come risulta dalla sentenza impugnata (pag. 6 della motivazione), il DVR predisposto da A.A. in data 5 gennaio 2021 espressamente prevedeva che le confezionatrici dovessero essere utilizzate "solo da personale addestrato che ne deve conoscere perfettamente le norme di sicurezza contenute nel manuale". Lo stesso imputato, dunque, nel Documento di valutazione del rischio, aveva considerato le confezionatrici come macchinari soggetti alle disposizioni dell'art. 71, comma 7, D.Lgs. n. 81/08. Per giurisprudenza costante, del resto, " in tema di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, l'adempimento degli obblighi di informazione e formazione dei dipendenti, gravante sul datore di lavoro, non è escluso né è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro" (Sez. 4, n. 22147 del 11/02/2016, Morini, Rv. 266860; Sez. 4, n. 49593 del 14/06/2018, T., Rv. 274042; Sez. 4, n. 8163 del 13/02/2020, Lena, Rv. 278603). Come è stato opportunamente sottolineato, inoltre: "l'apprendimento insorgente da fatto del lavoratore... e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge" (Sez. 4. Non ha maggior pregio il secondo motivo di ricorso, col quale la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del nesso causale tra l'asserita violazione degli obblighi di formazione e informazione e il verificarsi dell'evento lesivo. Secondo la difesa, nel caso di specie, anche se la lavoratrice avesse ricevuto una formazione adeguata, l'evento non sarebbe stato evitato. La B.B. ha dichiarato, infatti, che nel corso dei turni di lavoro svolti prima dell' infortunio, dovendo accedere alla "campana" che salda la pellicola al piattino contenente cibo per sostituire il rotolo di pellicola ormai terminato, si era accorta del malfunzionamento del dispositivo di protezione e aveva constatato che, a differenza di quanto avveniva in precedenza, aprendo lo sportello che dà accesso alla "campana", la macchina non si bloccava. Il ricorrente osserva che, non ostante ciò, la lavoratrice introdusse la mano nella zona pericolosa e sostiene che tale condotta non avrebbe potuto essere evitata da una formazione specifica perché la B.B. agì nella consapevolezza che l'apertura dello sportello di accesso agli organi lavoratori non era idonea a determinarne il fermo: tenne dunque una condotta macroscopicamente imprudente la cui pericolosità era immediatamente percepibile anche per un operatore non formato. A sostegno di tali conclusioni, la difesa richiama la sentenza Sez. 4, n. 32507 del 16/04/2019, Romano, Rv. 276797 secondo la quale, a fronte di una manovra pericolosa, " immediatamente percepibile da chiunque senza necessità di formazione alcuna", non è configurabile la responsabilità del datore di lavoro per avere omesso la formazione e informazione circa il corretto uso di un macchinario. La citazione non è pertinente. La sentenza n. 32507/19 si riferisce alla morte di un lavoratore addetto alla raccolta di rifiuti, caduto a terra dopo essere salito in piedi sul retro di un veicolo in movimento nonostante la mancanza delle apposite pedane esterne e delle relative maniglie. In quel caso, dunque, la situazione di pericolo era percepibile secondo regole di comune prudenza. Ben diverso è il caso oggetto del presente ricorso; e non solo perché, come risulta dagli atti, la confezionatrice era oggetto di frequenti interventi di manutenzione e la B.B. la adoperava soltanto nei giorni festivi. Come i giudici di primo e secondo grado hanno sottolineato, infatti, l' infortunata ha dichiarato di aver cercato di prevenire la situazione di pericolo attenendosi alle sommarie indicazioni che aveva ricevuto dai colleghi di lavoro e di aver premuto un tasto stop di colore rosso prima di infilare la mano nella zona pericolosa, sicché la condotta posta in essere non fu macroscopicamente imprudente e la B.B. pensò che la macchina, ormai spenta, non fosse più in movimento. Non rileva in contrario che il fungo di emergenza sia risultato regolarmente funzionante (pag. 5 e pag. 10 della sentenza impugnata). Nella sentenza di primo grado i comandi della macchina sono così descritti: " il tasto di accensione, spegnimento e il fungo rosso per l'emergenza" (pag. 4). Secondo quanto riportato dal Tribunale, inoltre, la teste Munì ha distinto tra il "tasto rosso vicino al fungo" che doveva essere premuto per "fermare la macchina" e il fungo che "serve per le emergenze (ad esempio è da schiacciare quando si incastra un piatto)" (pag. 5). Dalle sentenze di merito risulta, dunque, che sulla macchina vi era un tasto rosso di stop e un fungo di emergenza. Non è noto se lo stop funzionasse regolarmente e neppure quale ne fosse il funzionamento (blocco immediato o spegnimento con residuo moto inerziale). Nel rendere dichiarazioni in giudizio, però, la B.B. ha mostrato di non conoscere la differenza tra un pulsante di arresto e un fungo di emergenza. Come si legge a pag. 5 della sentenza impugnata ha dichiarato, infatti: " il tasto rosso o per me il tasto di emergenza... per me era quello che fermava la macchina... questo pulsante rosso... perché i piatti andavano avanti, quindi io ho schiacciato questo bottone, ho aperto lo sportello perché avevo visto un piatto da togliere". In questa situazione non è manifestamente illogico né contraddittorio aver ritenuto che una adeguata formazione avrebbe consentito alla lavoratrice di conoscere l'esatto funzionamento dei comandi e gli effetti derivanti dall'uso di tasti diversi e avrebbe potuto perciò evitare l'evento. La sentenza impugnata ha sottolineato in tal senso (pag. 11): che una specifica formazione non era affatto superflua perché il normale funzionamento del macchinario rendeva necessario "procedere periodicamente al cambio del rullo della pellicola o... intervenire comunque per eventuali inceppamenti all'interno della "campana"".
4.1. Si tratta di conclusioni conformi ai principi di diritto che regolano la materia. Ed invero, per giurisprudenza costante, " il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell' infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell'espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi" (Sez. 4, n. 49593 del 14/06/2018, T., Rv. 274042; Sez. 4, n. 8163 del 13/02/2020, Lena, Rv. 278603; Sez. 4, n. 39765 del 19/05/2015, Vallani, Rv. 265178). Come la giurisprudenza più recente ha opportunamente sottolineato, infatti, " in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia" (Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Cimolai, Rv. 284237; Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748; Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914). Ponendosi in questa prospettiva si è affermato che il comportamento negligente, imprudente e imperito tenuto dal lavoratore nello svolgimento delle mansioni a lui affidate può costituire concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, solo se questi "ha posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel Pos e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato)" (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242).
5. Col terzo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento alla ritenuta esigibilità concreta dell'adempimento del dovere di formazione e informazione specificamente riguardante la persona della B.B. e l'uso della confezionatrice. Osserva, in particolare, che A.A. è il legale rappresentante di una realtà aziendale complessa che, come anche la sentenza impugnata riconosce (pag. 9), gestisce "decine di centri di cottura" e "ha migliaia di dipendenti". Proprio per questo, la Corte territoriale ha escluso che A.A. fosse in condizione di verificare il corretto funzionamento del sistema di protezione della macchina confezionatrice. Sarebbe dunque contraddittorio aver ritenuto che, in una realtà aziendale di questo tipo, A.A. abbia avuto la possibilità di vigilare sulla formazione della B.B. La tesi difensiva muove dalla premessa che l'obbligo di formazione rimasto inadempiuto riguardasse la sola lavoratrice infortunata, ma una attenta lettura della sentenza impugnata smentisce questo assunto. I giudici di merito riferiscono: che la macchina confezionatrice sulla quale si verificò l' infortunio era stata portata nel centro di cottura di Grugliasco a marzo 2020; che, in precedenza, questa macchina si trovava in un altro stabilimento e non veniva utilizzata per il servizio di confezionamento dei pasti ospedalieri (pag. 2 e pag. 6 della sentenza impugnata; pag. 5 della sentenza di primo grado). Ne consegue che l' introduzione della macchina nel reparto avvenne nello stesso periodo in cui la B.B. fu trasferita dal servizio di ristorazione scolastica a quello di preparazione dei pasti ospedalieri. Ai sensi dell'art. 37, comma 4, D.Lgs. n. 81/08 "La formazione e, ove previsto, l'addestramento specifico devono avvenire in occasione: a) della costituzione del rapporto di lavoro o dell' inizio dell'utilizzazione qualora si tratti di somministrazione di lavoro; b) del trasferimento o cambiamento di mansioni; c) della introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e miscele pericolose". Nel caso di specie, dunque, la formazione e l'addestramento specifico erano necessari per tutti gli addetti alla ristorazione ospedaliera che avrebbero dovuto utilizzare la confezionatrice spostata a Grugliasco da un diverso stabilimento, ed erano necessari per la B.B. a doppio titolo: perché si trattava di una nuova attrezzatura e perché la lavoratrice - che aveva ricevuto solo una "formazione generale e specifica per lavoratori operanti in attività classificate a rischio basso" (pag. 7 della sentenza di primo grado) -era stata addetta a diverse mansioni. Dalla sentenza impugnata risulta (pag. 13) che la disposizione di cui all'art. 37, comma 4, D.Lgs. n. 81/08 rimase inadempiuta per tutti i lavoratori e, "per nessuno degli addetti", fu realizzata "un'adeguata offerta formativa e informativa". Poiché la sentenza impugnata muove da queste premesse, non si può ritenere che sia caduta in contraddizione quando ha ritenuto che A.A. non fosse in condizione di verificare la perdurante presenza dei dispositivi di protezione, non fosse rimproverabile per la mancata sospensione dell'utilizzo del macchinario e tuttavia versasse in colpa per non aver provveduto alla informazione e alla formazione dei lavoratori preposti all'uso della confezionatrice. Ed invero, secondo la sentenza impugnata, di tale omissione A.A. deve rispondere (a prescindere dall'efficacia della delega rilasciata ad D.D.con riferimento alla gestione della sicurezza) perché la formazione e l' informazione furono omesse del tutto e non soltanto con riferimento alla posizione di una singola lavoratrice. Com'è evidente, ponendosi in questa prospettiva, non rileva se A.A. fosse informato che la B.B. lavorava anche nel reparto addetto alla preparazione dei pasti ospedalieri e, in quel reparto, era addetta alla confezionatrice.
6. Quanto osservato con riferimento al terzo motivo, ha evidente rilievo per escludere la fondatezza del quarto. A.A. è stato ritenuto responsabile dell' infortunio per non aver adempiuto agli obblighi di informazione e formazione e, comunque, per non aver vigilato sul corretto adempimento di tali obblighi. Poco importa, dunque, se i compiti formativi fossero stati o meno validamente delegati. La delega di funzioni, infatti, non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite e la sentenza impugnata ha ritenuto che tale vigilanza non vi sia stata desumendolo - con argomentazione non illogica e non contraddittoria - dalla constatazione che gli obblighi formativi rimasero inadempiuti, non solo per la B.B., ma per tutti gli addetti al servizio di ristorazione ospedaliera dello stabilimento di Grugliasco nel quale, a marzo 2020, era stata collocata una confezionatrice. Il ricorrente non si confronta con questa argomentazione e non la contrasta efficacemente perché si limita a sostenere che la vigilanza sul delegato non può estendersi fini a controllare che ogni singolo dipendente sia formato. Come noto, la delega di funzioni, disciplinata dall'art. 16 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, non esclude l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro sul corretto espletamento delle funzioni trasferite, e tuttavia, tale obbligo - che afferisce "alla correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato" - "non può avere ad oggetto il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni" (Sez. 4, n. 51455 del 05/10/2023, Fiochi, Rv. 285535; Sez. 4, n. 10702 del 01/02/2012, Mangone, Rv. 252675). In applicazione di questo principio è stata annullata la decisione con cui era stata confermata la condanna per omicidio colposo della legale rappresentante di una società e datrice di lavoro, per aver omesso ogni controllo sul rispetto delle norme di sicurezza nei luoghi di lavoro e per non aver curato l'organizzazione dei dipendenti, senza considerare che ella aveva provveduto ad elaborare e redigere il documento di valutazione dei rischi e il POS e si era dotata di un'articolazione organizzativa funzionale che contemplava la nomina di un responsabile di cantiere e di un caposquadra-preposto, anch'essi ritenuti responsabili, del medesimo delitto. Si è evidenziato, dunque, che l'obbligo di vigilanza può ritenersi adempiuto quando l' impresa si sia data una organizzazione adeguata, idonea e funzionale al controllo dell'operato dei preposti. Si è affermato, in sintesi, che, quando le -dimensioni dell' impresa o altre condizioni concrete rendano idonea una vigilanza realizzata attraverso la predisposizione di ruoli e la previsione di procedure, è a questo "che occorre guardare per valutare l'adempimento del datore di lavoro" (Sez. 4, n. 51455 del 05/10/2023, Fiochi, Rv. 285535, già citata, pag. 8 della motivazione). La sentenza impugnata non ha ignorato questi principi di diritto come dimostra il fatto che è stata ritenuta inesigibile la verifica concreta e costante da parte del datore di lavoro dei fattori di rischio connessi al malfunzionamento della confezionatrice (malfunzionamento che non risultava essergli stato segnalato). È giunta però a conclusioni diverse con riferimento alle attività di informazione e formazione osservando che tali attività furono omesse per tutti i dipendenti del reparto. La sentenza impugnata rileva (pag. 13) che, per nessuno degli addetti alle lavorazioni in parola, "risulta sia mai stata realizzata una adeguata offerta formativa ed informativa" sicché, anche in presenza di una delega validamente conferita ai sensi dell'art. 16 D.Lgs. n. 81/08, "residuerebbe comunque una responsabilità del prevenuto per non aver vigilato e quindi verificato e controllato che tali attività informative e formative venissero esplicate periodicamente e in modo efficace con riguardo alle diverse sedi operative..., non bastando a tal fine l' indicazione nel DVR della necessità che la macchina fosse utilizzata da personale addestrato". Il ricorso non si confronta con questa motivazione. La difesa, infatti, non sviluppa argomenti per sostenere che i dipendenti del reparto per la produzione di cibi ospedalieri fossero stati specificamente informati e formati sull'uso della confezionatrice messa a loro disposizione nel marzo 2020. Il ricorso non spiega in che modo l'obbligo di verifica sarebbe stato assolto e non prova neppure a sostenere che la "Euroristorazione Srl" aveva adottato - ed efficacemente attuato - il modello di verifica e controllo previsto dall'articolo 30, comma 4, D.Lgs. n. 81/08. Che un tale modello non fosse stato attuato, peraltro, è reso evidente, oltre che dalle modalità della manutenzione che, secondo quanto accertato dai giudici di merito, era eseguita su segnalazione del personale in caso di malfunzionamento (pag. 5 della sentenza di primo grado), anche dal fatto che le anomalie di funzionamento della confezionatrice, pur segnalate dalla ditta di manutenzione, non furono comunicate ai vertici aziendali. A ciò deve aggiungersi che (come la sentenza impugnata ha sottolineato) A.A. supervisionava e firmava tutti i preventivi, sicché poteva rendersi conto che nello stabilimento di Grugliasco, ove era stata introdotta una macchina confezionatrice, non si erano tenuti corsi di informazione e formazione sull'uso di quel macchinario. Non si può ignorare, infine, che l' intero settore della sicurezza sul lavoro e della materia infortunistica era stato delegato a D.D. senza prevedere modalità di verifica e controllo e senza neppure indicare entro che limiti egli avesse autonomo potere di spesa, ma solo affermando che sarebbero state messe a disposizione del delegato "adeguate risorse" secondo proposte annuali da lui stesso formulate. Ponendosi in questa prospettiva, il tema relativo alla idoneità della delega conferita ad D.D. non merita di essere approfondito. Anche se avesse attribuito al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate e l'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento di tali funzioni, infatti, A.A. non andrebbe esente da responsabilità, essendo emerso in giudizio che omise di vigilare sul corretto espletamento da parte del delegato degli obblighi di informazione e formazione di cui agli artt. 37, 71 e 73 D.Lgs. n. 81/08 e non introdusse nell'azienda misure organizzative idonee ad assicurare l'adempimento di tali obblighi. 7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2024. Depositato in cancelleria il 21 novembre 2024.