Cass. pen., Sez. IV, Sent., 24/07/2023, n. 31879
In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, è correttamente inquadrato come datore di lavoro, titolare di una posizione di garanzia, il soggetto che, pur avendo formalmente appaltato a terzi le opere che hanno dato origine all'infortunio, sia intervenuto costantemente nella loro esecuzione, acquistando i materiali e le attrezzature, curando l'organizzazione del lavoro e impartendo istruzioni e direttive" (Sez. 4, n. 7954 del 10/10/2013, dep. 2014, Ventura, Rv. 259274; v. anche: Sez. 3, n. 50996 del 24/10/2013, Gerna, Rv. 258299).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIAMPI F.Maria - Presidente -
Dott. VIGNALE Lucia - rel. Consigliere -
Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere -
Dott. DAWAN Daniela - Consigliere -
Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A., nato a (Omissis);
B.B., nato a (Omissis);
avverso la sentenza del 08/02/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCIA VIGNALE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ALESSANDRO CIMMINO, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
udito il difensore, avvocato CAMERLENGO SIMONA, del foro di BRESCIA, che insiste per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 8 febbraio 2023, la Corte di appello di Brescia ha riformato, quanto al trattamento sanzionatorio, la sentenza emessa - a seguito di giudizio abbreviato - dal Tribunale della stessa città con la quale A.A. e B.B., sono stati ritenuti responsabili (in cooperazione colposa tra loro e con C.C., separatamente giudicato) del reato di cui agli art.113, art.40, comma 2, e art.590 c.p., commi 1, 2 e 3.
2. Il procedimento ha ad oggetto un infortunio sul lavoro verificatosi il (Omissis) nel quale D.D., dipendente della "S.M. Service Srl " riportò lesioni dalle quali derivarono una malattia giudicata guaribile in 305 giorni e postumi permanenti (20% di invalidità riconosciuta dall'INAIL). Dalle sentenze di primo e secondo grado si evince che l'infortunio si verificò all'interno della palestra "Old School" di Brescia nel corso di lavori di ristrutturazione che prevedevano, tra l'altro, il rifacimento degli impianti idraulici e di condizionamento. I lavori erano stati affidati all'impresa individuale di G.G. che ne aveva subappaltato una parte alla "Effe.ci Srl " della quale sono soci e amministratori A.A. e B.B., Costoro avevano a loro volta affidato la "posa di accessori aeraulici" alla "S.M. Service Srl " il cui legale rappresentante è C.C.. Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, il giorno dei fatti, D.D., stava montando alcune tubazioni all'interno di un controsoffitto a pannelli modulari posto a 3,65 metri di altezza e si trovava in piedi su un trabattello alto circa tre metri quando, a causa di un movimento inaspettato del trabattello (privo di fermo per le ruote e dei parapetti laterali), cadde al suolo riportando le gravi lesioni sopra indicate.
A.A. e B.B., sono stati ritenuti responsabili dell'infortunio, il primo quale datore di lavoro di fatto di D.D., il secondo quale preposto nel cantiere per la "Effe.ci Srl ". Secondo i giudici di merito infatti, pur formalmente assunto dalla "S.M. Service Srl ", D.D., lavorava di fatto alle dipendenze della "Effe.ci Srl " e sotto le direttive di A.A. e B.B. e furono loro a mettere a disposizione dell'infortunato un trabattello non conforme ai requisiti di legge. In particolare, A.A. è stato ritenuto responsabile dell'infortunio per non aver compiuto una adeguata valutazione dei rischi derivanti dalle lavorazioni da effettuare in quota (in violazione del D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, art. 28 , comma 1,) e per non aver messo a disposizione dei dipendenti attrezzature adeguate allo svolgimento di tali lavori (in violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, comma 1,). B.B., è stato ritenuto responsabile dell'infortunio per non aver vigilato sull'attività svolta da D.D., consentendo che egli operasse in quota avvalendosi di un trabattello privo dei necessari requisiti di sicurezza (D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 19 e 71).
3. Contro la sentenza entrambi gli imputati hanno proposta tempestivo ricorso per mezzo del comune difensore.
3.1. Col primo motivo, i ricorrenti lamentano violazione di legge e vizi di motivazione quanto all'affermazione della responsabilità e alla ritenuta violazione delle norme in materia di prevenzione infortuni loro rispettivamente contestate.
La difesa sostiene che la ricostruzione dell'incidente sarebbe avvenuta sulla base delle contraddittorie dichiarazioni dell'infortunato il quale ha inizialmente dichiarato di essere caduto da una scala, ha detto poi, sentito a sommarie informazioni, di essere caduto da un ponteggio e solo nell'atto di querela ha sostenuto di essere caduto da un trabattello. Il difensore sottolinea che, essendosi costituito quale parte civile in giudizio, D.D. aveva interesse all'affermazione della penale responsabilità degli imputati sicchè le sue dichiarazioni avrebbero dovuto essere valutate con particolare cautela e ciò non è avvenuto. Non sarebbe dunque possibile, in concreto, escludere che la caduta sia stata determinata da un uso "inconsulto e imprevedibile" dell'attrezzatura messa a disposizione dell'infortunato; attrezzatura che - osserva la difesa - potrebbe essere un trabattello così come una scala.
Con particolare riferimento alla ipotizzata violazione dell'art. 28 D.Lgs. n. 81 del 2008, la difesa osserva che, poichè D.D. era dipendente della "S.M. Service Srl ", l'obbligo di valutare i rischi connessi all'esecuzione di lavori in quota gravava sul legale rappresentante di quella società, C.C., che lo aveva correttamente adempiuto. Si duole che a qiuesta osservazione, formulata nei motivi di appello, la sentenza impugnata non abbia dato risposta.
3.2. Col secondo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento alla individuazione di A.A., quale datore di lavoro di fatto. Sottolinea che la "Esse.ci Srl " aveva subappaltato l'esecuzione dei lavori di posa dell'impianto di ricambio dell'aria alla "S.M. Service Srl " sicchè l'obbligo di valutare i rischi connessi a quei lavori competeva a C.C., quale datore di lavoro dell'infortunato. Secondo la difesa, la sentenza impugnata ha attribuito a A.A., il ruolo di datore di lavoro di fatto senza fornire adeguata motivazione in ordine ai compiti effettivamente svolti dall'imputato e senza spiegare in che modo egli si fosse interposto tra il formale datore di lavoro e il dipendente infortunato sostituendosi a C.C. nell'impartire direttive a D.D. e nell'organizzare in concreto il lavoro.
3.3. Col terzo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento alla attribuzione a B.B., del ruolo di preposto. Secondo il difensore, la Corte territoriale, non avrebbe argomentato sui compiti svolti da B.B. e sulle sue competenze, sicchè non è noto se l'infortunio verificatosi rientrasse nell'area di rischio che B.B., doveva governare. Dal contenuto della sentenza impugnata, inoltre, non sarebbe possibile desumere sulla base di quali elementi sia stato ritenuto un rapporto di sovraordinazione tra B.B. e D.D..
Motivi della decisione
1. I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
2. Va premesso che ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) il sindacato del giudice di legittimità sul provvedimento impugnato deve essere volto a verificare: che la motivazione della pronuncia sia "effettiva" e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; non sia "manifestamente illogica", perchè sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; non sia internamente "contraddittoria", sia quindi esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; non risulti fondata su argomenti logicamente "incompatibili" con "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravarne" in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Alla Corte di cassazione è preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto, mentre la stessa è, e deve essere, giudice della motivazione (tra tante, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri,, Rv. 273217).
3. Muovendo da queste premesse, si deve osservare che le motivazioni addotte dalla Corte territoriale per sostenere che D.D. si infortunò cadendo da un trabattello appaiono esaurienti, esenti da contraddittorietà e non manifestamente illogiche. Le sentenze di merito - che possono essere lette congiuntamente e costituiscono un unico complessivo corpo decisionale in virtù dei richiami che la sentenza d'appello opera alla sentenza di primo grado (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595) - precisano che, nel corso del giudizio abbreviato, proprio al fine di meglio chiarire lo svolgimento dei fatti, sono state esaminate alcune persone intervenute subito dopo l'incidente e due di queste (E.E. e F.F.), hanno riferito di aver udito un "forte tonfo" e ci aver visto D.D. a terra, in stato confusionale, accanto a un trabatello. Secondo le concordi osservazioni dei giudici di merito, tali dichiarazioni sono particolarmente attendibili perchè rese da testimoni disinteressati alla vicenda e trovano conferma nel fatto che altri testimoni hanno riferito di aver visto i dipendenti della Effe.ci (e lo stesso B.B.), lavorare su un trabattello, ciò che conferma la presenza in cantiere di tale attrezzatura e la riconducibilità della stessa alla società della quale gli odierni ricorrenti erano soci amministratori. Sulla base di queste argomentazioni la circostanza che uno dei testimoni esaminati (Nicholas Pasquariello) abbia detto di non ricordare la presenza di trabattelli e abbia parlato di scale è stata ritenuta non significativa; come è stato ritenuto irrilevante (e spiegabile con lo stato confusionale riferito dai testimoni) che, parlando con i medici del pronto soccorso, D.D. abbia detto di essere caduto da una scala. Non si può ignorare, peraltro, che - come la sentenza di primo grado ha opportunamente sottolineato (pag. 9 della motivazione) - il lavoro che D.D. stava svolgendo (posa di alcune tubazioni dell'impianto di ricambio dell'aria all'interno di un controsoffitto) richiedeva la permanenza in quota per lungo periodo di tempo e l'uso di entrambe le mani sicchè non poteva concretamente svolgersi su una scala.
Diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, dunque, i giudici di merito, hanno sottoposto a vaglio di attendibilità il narrato della parte civile, hanno sottolineato che le indicazioni fornite da D.D. erano confermate da quanto rilevato nell'immediatezza dai testimoni intervenuti a soccorrerlo e, dopo aver eseguito tale vaglio di attendibilità, hanno ricostruito le modalità dell'infortunio. Si deve ricordare allora che, per giurisprudenza costante, "le dichiarazioni del soggetto danneggiato dal reato che si sia costituito parte civile possono essere legittimamente poste da sole a fondamento della responsabilità dell'imputato, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, purchè il narrato sia soggetto ad un più rigoroso controllo di attendibilità, opportunamente corroborato dall'indicazione di altri elementi di riscontro" (Sez. 4, n. 410 del 09/11/2021, dep. 2022, Aramu, Rv. 282558; Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, Ciotti, Rv. 279070; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312).
4. Non hanno maggior pregio i motivi con i quali la difesa lamenta violazione di legge e vizi di motivazione per essere stata attribuita ad A.A. la qualifica di datore di lavoro di fatto e ad B.B. quella di preposto. A questo proposito, la sentenza di primo grado (cui la sentenza di appello fa rinvio per quanto riguarda l'accertamento dei fatti) sottolinea che il titolare della ditta individuale G.G., incaricata dei lavori di ristrutturazione della palestra, ha dichiarato di non essere stato neppure informato del fatto che l'istallazione delle tubazioni di ricambio dell'aria era stata subappaltata dalla "Effe.ci Srl " alla "S.M. Service Srl " precisando che i suoi unici riferimenti per l'esecuzione dei lavori erano A.A. e B.B.. Dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che, secondo quanto dichiarato da G.G., D.D. lavorava prevalentemente con B.B.. Lo stesso D.D., inoltre, ha significativamente dichiarato di non sapere di essere stato assunto dalla "S.M. Service Srl " e di aver avuto contatti sempre e soltanto con i titolari della "Effe.ci Srl ". L'infortunato ha precisato che, ogni mattina, A.A. gli dava indicazioni sul cantiere nel quale avrebbe dovuto recarsi e sul lavoro che doveva svolgere (pag. 3 della sentenza di primo grado) e, come il Tribunale ha sottolineato (pag.4), tali dichiarazioni sono state confermate da Pasquariello, dipendente della "Effe.ci Srl ", secondo il quale, nel cantiere della "(Omissis)", B.B., impartiva ordini sia a lui che a D.D..
Sulla base di tali coerenti argomentazioni i giudici di merito hanno ritenuto che D.D. operasse di fatto alle dipendenze della "Effe.ci Srl " e, pertanto, gravassero sugli odierni ricorrenti tutti gli obblighi di prevenzione e protezione. Si tratta di conclusioni conformi ai principi di diritto che regolano la materia. Ed invero, "in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, è correttamente inquadrato come datore di lavoro, titolare di una posizione di garanzia, il soggetto che, pur avendo formalmente appaltato a terzi le opere che hanno dato origine all'infortunio, sia intervenuto costantemente nella loro esecuzione, acquistando i materiali e le attrezzature, curando l'organizzazione del lavoro e impartendo istruzioni e direttive" (Sez. 4, n. 7954 del 10/10/2013, dep. 2014, Ventura, Rv. 259274; v. anche: Sez. 3, n. 50996 del 24/10/2013, Gerna, Rv. 258299). Si è affermato, inoltre, che "il subappaltante è esonerato dagli obblighi di protezione solo nel caso in cui i lavori subappaltati rivestano una completa autonomia, sicchè non possa verificarsi alcuna sua ingerenza rispetto ai compiti del subappaltatore" (Sez. 4, n. 12440 del 07/02/2020, Basso, Rv. 278749) e, secondo quanto accertato dai giudici di merito, così non è avvenuto nel caso di specie.
A ciò deve aggiungersi: che - come risulta dalle sentenze di primo e secondo grado - l'infortunio fu reso possibile dall'inadeguatezza dell'attrezzatura di lavoro messa a disposizione dei lavoratori operanti in quota "costituita da un trabattello instabile privo del fermo delle rotelle e dei parapetti laterali" (così testualmente pag. 9 della sentenza di primo grado); che a D.D. era stato dato il compito di installare le tubazioni dell'impianto di ricambio dell'aria all'interno di un controsoffitto posto a più di tre metri di altezza; che l'obbligo di fornire ai lavoratori attrezzature idonee a fini di sicurezza (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71) grava su chi abbia formalmente assunto il lavoratore come su colui che di fatto gli impartisce direttive e gli consente l'uso di attrezzature non conformi.
5. I ricorrenti non contestano che il lavoratore infortunato fosse stato incaricato di compiere un lavoro che richiedeva di portarsi ad una altezza superiore ai due metri, nè contestano che nel documento di valutazione del rischio predisposto da A.A., il rischio connesso all'esecuzione di lavori in quota non fosse adeguatamente valutato. Si limitano a sostenere che l'istruttoria dibattimentale non avrebbe accertato al di là di ogni ragionevole dubbio che D.D., cadde da un trabattello e che ciò sia avvenuto perchè tale attrezzatura era inidonea a fini di sicurezza. Nel farlo, si dolgono che le valutazioni dell'infortunato siano state valutate attendibili. Invocano dunque una inammissibile considerazione alternativa del compendio probatorio e una rivisitazione del potere discrezionale riservato al giudice di merito in punto di valutazione della prova senza confrontarsi in termini specifici con l'iter logico-giuridico seguito per l'affermazione affermare la responsabilità penale.
Considerazioni analoghe devono essere formulate con riferimento al terzo motivo di ricorso col quale la difesa sostiene che i giudici di merito non avrebbero chiarito per quali ragioni la sicurezza dello svolgimento di lavori in quota rientrasse nella sfera di rischio che, quale preposto in cantiere, B.B., era chiamato a governare. Così argomentando, infatti, il difensore trascura quanto dettagliatamente esposto dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado riguardo al ruolo sovraordinato concretamente svolto da B.B. e al fatto che, come concordemente riferito dai testimoni, egli impartiva ordini sia a Pasquariello che a D.D..
6. Per quanto esposto, la decisione assunta non è censurabile nè sotto il profilo dell'identificazione del rischio concretizzatosi, nè per quanto riguarda le regole cautelari applicabili, rappresentate dalla necessità di valutare i rischi connessi all'esecuzione di lavori in quota e di fornire attrezzature adeguate ai dipendenti destinati a svolgerli. Neppure è censurabile, perchè coerente con le emergenze istruttorie, l'identificazione della condotta alternativa doverosa, individuata dalle sentenze di merito in una corretta valutazione, del rischio e nella scelta di attrezzature idonee a fini di sicurezza. Non può dubitarsi, infine, che tali condotte, se attuate, avrebbero impedito l'evento.
7. All'inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che i ricorrenti non versassero in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere posto a carico di ciascuno di loro l'onere di versare una somma in favore della Cassa delle ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso, nella misura di Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 4 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2023