Nel riparto degli oneri probatori, in caso di domanda risarcitoria del lavoratore (non quindi nel caso di richiesta risarcimento danno dei prossimi congiunti in caso di infortunio mortale), la responsabilità civile viene ricondotta nell'ambito della responsabilità contrattuale così che il datore di lavoro si pone nella stessa posizione del debitore dell'obbligazione ai sensi dell'art. 1218 c.c..
Alla denuncia infortunio sul lavoro consegue, quindi, l’onere del lavoratore di provare l’esistenza del danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro e cioè di concreti fattori di rischio, circostanziati in ragione delle modalità della prestazione lavorativa, che il datore avrebbe dovuto prevedere ed eliminare, nonché il nesso tra l’uno e l’altro. Ove fornita tale prova è invece onere del datore di lavoro dimostrare di aver posto in essere tutte le cautele necessarie volte ad impedire il verificarsi del danno e che il danno subito dal lavoratore non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi (Cass. Civ., 07/07/2020 n. 14082).
Non va però dimenticato ch'egli è parimenti responsabile se non vigila affinché le misure adottate siano rispettate da parte del lavoratore tant'è che l'obbligo di tutela delle condizioni di lavoro (ex art. 2087 c.c. ) non è adempiuto se le misure di prevenzione non sono idonee ad eliminare nella misura massima possibile anche i rischi derivanti da imprudenza, negligenza o imperizia del lavoratore.
Più esattamente, con la denuncia infortunio sul lavoro il lavoratore, alfine del risarcimento integrale del danno patito, ha l'onere di provare il fatto costituente l’inadempimento, e cioè la nocività o pericolosità dell’ambiente di lavoro, il nesso di causalità materiale tra questo ed il danno, l’esistenza e l’ammontare del danno, ma non anche la colpa della controparte, nei cui confronti opera la presunzione di cui all'art. 1218 c.c..
Il lavoratore, a seguito della denuncia infortunio sul lavoro, dovrà far emergere che la responsabilità del datore di lavoro potrà essere dipesa sia dalla mancata adozione di misure di sicurezza “nominate” (previste cioè espressamente dal D.Lgs. n.81/2008 o dalle leggi speciali), sia dalla mancata adozione di misure di sicurezza “innominate”, cioè non previste espressamente da alcuna norma di legge o di regolamento, ma concrete, esigibili e necessarie in relazione alle specificità della singola lavorazione.
Nel caso di omissione di misure di sicurezza previste dalla legge, la prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore; viceversa, ove le misure di sicurezza debbano essere ricavate dall'art. 2087 c.c., la prova liberatoria è correlata alla quantificazione della misura di diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle misure di sicurezza, imponendosi l'onere di provare l'adozione di comportamenti specifici che siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, quali anche l'assolvimento di puntuali obblighi di comunicazione (Cass. Civ., Sez. Lavoro, 26/4/2017 n. 10319; Cass. Civ., Sez. Lavoro, 9/6/2017 n. 14467).
Difatti, l'obbligo di tutela delle condizioni di lavoro posto dall'art. 2087 c.c., non può dirsi adempiuto se le misure di prevenzione adottate nella organizzazione delle modalità operative della prestazione, da parte del datore di lavoro e dal committente, non siano idonee ad eliminare del tutto o, comunque, nella misura massima possibile, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, anche i rischi derivanti da imprudenza, negligenza o imperizia del lavoratore, sicché è convenevole che la denuncia infortunio sul lavoro rappresenti che l'infortunio è stato causato dalle suindicate carenze, comportando ciò la esclusione del concorso di colpa del lavoratore.
Con recentissima sentenza, la Suprema (Corte Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 21/09/2021, n. 25597) ha acclarato che: “ L'eventuale imprudenza o negligenza del lavoratore non rileva neanche ai fini del concorso di colpa quando vi sia inadempimento datoriale rispetto all'adozione di cautele, tipiche o atipiche, concretamente individuabili, nonchè esigibili ex ante ed idonee ad impedire, nonostante l'imprudenza del lavoratore, il verificarsi dell'evento dannoso (v. Cass. n. 30679 del 2019).
Questa Corte ha escluso la sussistenza di un concorso di colpa della vittima, ai sensi dell'art. 1227 c.c., comma 1 quando risulti che il datore di lavoro abbia omesso di adottare le prescritte misure di sicurezza, oppure abbia egli stesso impartito l'ordine, nell'esecuzione puntuale del quale si è verificato l'infortunio, o ancora abbia trascurato di fornire al lavoratore infortunato una adeguata formazione ed informazione sui rischi lavorativi; ricorrendo tali ipotesi, l'eventuale condotta imprudente della vittima degrada a mera occasione dell'infortunio ed è, pertanto, giuridicamente irrilevante (Cass. civ. Sez. VI - 3, Ord.,15-05-2020 n. 8988).
Si è, in particolare, escluso il concorso di colpa del lavoratore ove l'infortunio sia avvenuto a causa della organizzazione stessa del ciclo lavorativo, impostata con modalità contrarie alle norme finalizzate alla prevenzione degli infortuni, o comunque contraria ad elementari regole di prudenza (Cass. n. 8988 del 2020 cit.; n. 12538 del 2019).”
Con la richiamata sentenza la Suprema Corte ha, difatti, cassato ambedue le pronunce di merito sia di primo che di secondo grado che avevano ritenuto abnorme il comportamento del lavoratore precisando che l'indagine sul corretto adempimento dell'obbligo di sicurezza da parte del datore di lavoro e/o della committente avrebbe dovuto comprendere la utilizzabilità di ulteriori o diversi sistemi protettivi in grado di tutelare l'integrità psicofisica dei lavoratori anche rispetto a condotte negligenti o imprudenti dei medesimi.
Più precisamente la Suprema Corte (Cass. civ. Sez. VI - 3, Ord.,15-05-2020, n. 8988) ha tratto il corollario che anche quando la condotta della vittima rappresentata nella denuncia infortunio sul lavoro possa astrattamente qualificarsi come imprudente, deve nondimeno escludersi qualsiasi concorso di colpa a carico del danneggiato in tre ipotesi.
La prima ipotesi è quella in cui l'infortunio sia stato causato dalla puntuale esecuzione di ordini datoriali. In questo caso il datore di lavoro non può invocare il concorso di colpa della vittima che abbia eseguito un ordine pericoloso, perché l'eventuale imprudenza del lavoratore non è più "causa", ma degrada ad "occasione" dell'infortunio.
La seconda ipotesi in cui il datore di lavoro non può invocare il concorso di colpa della vittima, ex art. 1227 c.c., è quella in cui l'infortunio sia avvenuto a causa della organizzazione stessa del ciclo lavorativo, impostata con modalità contrarie alle norme finalizzate alla prevenzione degli infortuni, o comunque contraria ad elementari regole di prudenza.
La terza ipotesi in cui il datore di lavoro non può invocare il concorso di colpa della vittima, ex art. 1227 c.c., è quella in cui l'infortunio sia avvenuto a causa di un deficit di formazione od informazione del lavoratore, ascrivibile al datore di lavoro. In tal caso, precisano i giudici di Piazza Cavour, se è pur vero che concausa del danno fu l'imprudenza del lavoratore, non è men vero che causa dell'imprudenza fu la violazione, da parte del datore di lavoro, dell'obbligo di istruire adeguatamente i suoi dipendenti, e varrà dunque il principio per cui causa causae est causa causati, di cui all'art. 40 c.p..
Conclusivamente possiamo dire, in linea generale, che con la presentazione di una denuncia infortunio sul lavoro, la responsabilità datoriale per i danni alla salute del lavoratore poggia su tre importanti princìpi:
1. il datore ha l’obbligo di preservare l’integrità fisica e morale del lavoratore (art. 2087 c.c.);
2. il datore è tuttavia esonerato da responsabilità civile per i danni coperti dall’ assicuratore sociale (art. 10, comma 1, D.P.R. 30/06/1965, n. 1124);
3. la responsabilità civile datoriale per gli infortuni subìti dal lavoratore riemerge quando l’infortunio sia conseguenza d’un fatto reato (art. 10, comma 2, D.P.R. n. 1124/1965, cit.).
Gli obblighi in capo al datore di lavoro, e diretti a tutelare l’incolumità dei lavoratori, sono individuati nel D.Lgs. 09/04/2008, n. 81 (Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, emanato in attuazione dell’ art. 1 L. 03/08/2007, n. 123). Ad esso si uniscono numerose leggi speciali che disciplinano singole attività lavorative (settore alimentare, pesca, miniere, rifiuti, ecc.).
Da quanto sopra esposto scaturisce che l'obbligo di sicurezza che grava sul datore di lavoro comporta che questi sia tenuto a proteggere l'incolumità dei lavoratori e a prevenire anche i rischi insiti nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia dei medesimi nell'esecuzione della prestazione, dimostrando di aver posto in essere ogni precauzione a tal fine idonea (Cass. Civ., Sez. Lavoro, 18/06/2018 n. 16026; Cass. Civ., Sez. Lavoro 13/01/2017 n. 798).
E' opportuno, quindi, ai fini del conseguimento del risarcimento danni richiesto che il lavoratore dettagli quanto più possibile, nella denuncia infortunio sul lavoro, la nocività dell’ambiente e cioè i concreti fattori di rischio al di là delle violazioni di legge.