Adriano Cortellessa

So di non sapere era il concetto cardine del pensiero di Socrate, come tramandato da Platone, il quale precisava, come noto, che esiste un solo bene la conoscenza ed un solo male l'ignoranza.
Non a caso cito Socrate. Perché ho compreso soprattutto con il passare del tempo l'importanza dello studio, della lettura e quindi della conoscenza.
Vengo da una famiglia della piccola borghesia in cui già laurearsi era motivo di vanto e di orgoglio, principalmente per i miei genitori. 

Ma con il tempo capisci che ciò non basta, soprattutto se devi "farti" da solo, se non hai appoggi, conoscenze, se non hai chi ti facilita una strada.
Allora si ritorna lì, più conosci, più sai, e più avanzi.
Ne ho fatto un credo e tutt'oggi dedico buona parte del tempo alla lettura, allo studio. E lo faccio con piacere, seppure, purtroppo per un verso, le letture riguardano prettamente il diritto, data la mia professione. Ma quando posso, quando il “tiranno” tempo me lo permette e la stanchezza non riesce a vincermi, riprendo le mie letture sulla storia dei filosofi, sulla storia dell’arte, su libri che penso mi diano qualcosa e tanti ce ne sono.

Amo fare sport. L’ho sempre praticato. Dal calcio al tennis, dalla bici alla corsa, alle immersioni subacquee che ormai ho abbandonato.

Scarico così le tensioni del lavoro e le calorie della buona cucina che, insieme al buon vino, non disdegno assolutamente. Anzi.
Mi ritengo un runner, sono stato anche un maratoneta. Purtroppo, con i "guasti" del tempo ho dovuto abbandonare le lunghe distanze. Così oggi alterno la corsa con la palestra e a volte la mountain bike. Cerco di mantenermi in forma, insomma, almeno ci provo.

Amo la vita, con tutti i pro e contro.

Ed una delle riflessioni che mi portò, negli anni addietro, ad apprezzarla di più fu la lettura del libro “La ragazza delle arance” di Jostein Gaadner, un filosofo scrittore. E mi piace trasmetterla, brevemente, perché mi porta a credere che la vita sia la più straordinaria delle avventure.

Un padre scrive una lettera a suo figlio prima di morire per portarlo a riflettere sul senso della vita. Ciascuno di noi ha due genitori, quattro nonni, otto bisnonni, sedici trisavoli e via di seguito e se facessimo un calcolo a ritroso, fino al medioevo, sarebbe un bel gruppo. Ebbene, gli dice, nonostante le guerre, la peste, le malattie, le probabilità che i tuoi antenati morissero negli anni dell’infanzia erano alte, quella catena non si è mai interrotta.

Le probabilità che nel corso di milioni di anni quella catena non si spezzasse erano pressoché impensabili.

Eppure ce l’ho fatta, gli scriveva. E la mia ricompensa è l’incredibile fortuna di vivere su questo pianeta insieme a te.

E che ne è degli sfortunati? immaginandosi la domanda del figlio.

Non esistono. Non sono mai venuti al mondo, rispose.

“La vita è una grande lotteria, in cui vengono estratti soltanto i biglietti vincenti.”

Il mio forte perchè

Mio nonno materno si chiamava Umberto Cesaro. Subì un grave infortunio sul lavoro. Il 25 marzo 1952 rimase coinvolto nella nota tragedia di Cannavinelle, a Mignano M.L. (CE), una delle più gravi della storia d’Italia, dove persero la vita 42 persone a causa dell’esplosione all’interno della galleria.
Mio padre si chiamava Nello Cortellessa. Quando uscì dalla prigionia nazista e tornò a casa scrisse, di suo pugno, pagine, annotazioni e ricordi di quella terribile esperienza che gli cambiò la vita per sempre.
In “9809 Prigioniero del silenzio” racconto la sua odissea da prigioniero, costretto ai lavori forzati.

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